domenica 4 dicembre 2016


 

 
Un altro articolo del 1996 in cui Massimo Consoli si definisce FONDATORE DEL MOVIMENTO GAY . Oggi però non è più tale. Da più parti si legge, infatti,  che è definito come uno dei padri fondatori, pioniere etc.  Ma quale sarà la verità?


ROME GAY NEWS

ANNO VIII – N.112 – 6 NOVEMBRE 1996 

 

SODDISFAZIONE DEI GAY PER LA SALUTE DI ELTSIN

E LA RIELEZIONE DI CLINTON

 

In merito ai più recenti fatti di cronaca internazionale, lo scrittore Massimo Consoli, fondatore del movimento gay italiano e direttore dell’agenzia Rome Gay News, ha dichiarato quanto segue:

                                                                                                        

“Questo è un giorno di gran letizia per i gay di tutto il mondo. Due tra gli amici più necessari alla nostra comunità continuano ad occupare le posizioni più influenti: Bill Clinton è stato rieletto alla presidenza degli Stati Uniti e Boris Eltsin ha superato brillantemente la grave operazione di by-pass coronarico alla quale è stato sottoposto.

Ma quale può essere il motivo di tanta soddisfazione?

La prima volta, nel 1992, Clinton raggiunse la Casa Bianca con il voto decisivo dei gay americani, che per lui raccolsero fondi e si mobilitarono come mai prima. Clinton si era impegnato ad eliminare le cause della discriminazione e del disagio  che a tutt’oggi ancora colpiscono la comunità americana, ma una forte opposizione interna glielo ha impedito. Questa opposizione è stata guidata dal generale Colin Powell, uno zio Tom che ha dimenticato

a) quanto i suoi antenati schiavi abbiano sofferto per colpa della medesima malvagità d’animo e stortura morale della quale lui oggi si fa portavoce, e

b) quanto i gay d’America abbiano contribuito con le loro lotte ed i loro sacrifici a far considerare i neri come persone normali.

Ma anche se Clinton, non ha mantenuto tutte le sue promesse, si è nondimeno mosso in quella direzione. La mancata approvazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso non viene considerato un tradimento visto che, anche all’interno della comunità, l’opinione prevalente sembra essere che è meglio lottare per eliminare il matrimonio tra persone di sesso diverso piuttosto che scimmiottarle in un tipo di relazione che è innaturale e fonte di molti tra i guai che affliggono l’umanità.

 

Per quel che riguarda Eltsin, non possiamo dimenticare che il premier della Russia è stato addirittura ben più concreto di Clinton, come abbiamo avuto occasione di documentare  (unici in Italia), fin dal 1992, scrivendo che:

“I gay russi sono stati indispensabili a Boris Eltsin nel poter trasmettere le sue dichiarazioni, d’attacco contro il tentato putsch dei generali dello scorso agosto (1991, ndr) prestandogli il computer e la stampante del giornale gay TEMA, la sola organizzazione che ancora possedeva uno strumento di comunicazione funzionante al momento del colpo di Stato. Il computer era stato ricevuto due settimane prima come dono dell’International Gay and Lesbian Human Rights Commission, di San Francisco. Tale atto di eroismo degli editori di TEMA precedeva la grande protesta dei gay sovietici nello scorso settembre (1991, ndr), che rivendicava i propri diritti chiedendo l’abolizione dell’articolo 121 del Codice Penale Sovietico…La  mutata atmosfera politica apre le porte al riconoscimento dei diritti dei gay sovietici che possono ben dire di aver partecipato in diretta alla creazione democratica del Paese.”



Questa previsione si è poi dimostrata esatta e Eltsin, al contrario del can can che ha accompagnato ogni dichiarazione di Clinton sull’omosessualità, per pagare il suo debito nei confronti della comunità gay (ormai russa e non più sovietica) senza creare problemi e senza che si potesse costituire un’opposizione, decise di agire in segreto. Così, nel maggio del 1993, il mondo apprese che una precedente deliberazione (di parecchi mesi prima!), il governo russo aveva abrogato l’art. 121.

In questo modo Eltsin è riuscito senza tanti problemi e senza sollevare troppa polvere, laddove Clinton ha incontrato difficoltà fino ad oggi insormontabili.

Ad ambedue, in ogni caso, vanno i nostri migliori auguri di buon lavoro e, ovviamente, di buona salute".

 

sabato 3 dicembre 2016

Intervento di Dario Bellezza il 2 dicembre 1976 CONTROPROCESSO ALL'ASSASSINIO DI PASOLINI TENUTOSI PRESSO L'OMPO'S


 


               Io vorrei dire una cosa su questo convegno, su questo nostro contro processo. Scusate. I media hanno pubblicizzato la cosa mettendola sotto il segno del Fuori. C’è stato un equivoco. Non so la colpa di chi è, se dei giornali, degli organizzatori o di noi stessi che spesso veniamo confusi con altri gruppi, ma con il Fuori noi non c’entriamo niente. Io non ne faccio parte…

              La mia polemica con i compagni del Fuori è soprattutto questa: per quella totalità che Pasolini voleva abbracciare, che era stata il punto di partenza e di arrivo della sua attività creativa, di rifiutare il ghetto e tutte le strumentalizzazioni di tipo politico, anche di una parte politica minoritaria e che lotta per l’emancipazione degli omosessuali.

              Per cui questo nostro processo a Pelosi è un processo simbolico che non vuole nessuna condanna e nessuna assoluzione, ma si ripromette di ricordare, e non solo retoricamente, la perdita di Pasolini. Soprattutto, intendiamo ricordare che niente di concreto, di reale,  è stato fatto dai magistrati che si occupano del caso, perché secondo quella che è stata la sentenza di primo grado, niente è stato fatto per ritrovare, per rintracciare i complici di Pino Pelosi, o in ogni caso, per far sì che le indagini fossero continuate.

             Voglio dire che non vorremmo che questo processo facesse marcia indietro e quella piccola conquista di verità, che era stata la sentenza di primo grado, fosse annullata, considerati anche gli errori compiuti da quella che si chiama parte civile. Proprio quella parte civile che non si è presentata al processo di appello è iniziato oggi, ed io non so se per una forma di protesta o di presunzione, adducendo delle motivazioni, secondo me, sofistiche. Dicono, in poche parole, i familiari di Pier Paolo: “Noi abbiamo dimostrato che quella sera Pasolini non era solo con Pelosi e tanto ci basta. Tutto quello che succederà in seguito, non riguarda più Pasolini”.

                Io non sono mai molto lucido quando parlo di Pasolini. I rapporti che ho avuto in vita con lui, mi proibiscono di parlarne in maniera oggettiva. Confesso, dunque  che mi metto sempre dentro il margine della visceralità e della soggettività. D’altronde, c’è un altro meccanismo che mi scatta dentro, dato che è chiaro che proiettavo, identificavo su Pasolini una figura grosso modo paterna e anche materna.

                  Il padre, diciamo così, era l’ideologia, era l’intelligenza, era la sapienza. La madre, invece, era la poesia. Mi sento scrutato, giudicato da Pasolini, continuamente. E’come se fosse stato un grande Dio che, purtroppo, ha dimostrato il suo difetto, la sua mortalità. Morendo Pasolini ha compiuto su di me una specie di esorcismo e mi ha lasciato libero di continuare per la mia strada.

                   Io non so qual è la mia strada. E’ la strada di un emarginato, di uno zingaro, di uno che ha scelto di non compromettersi se non in una compromissione feroce, forse anche in questo Pasoliniana, nei confronti della società italiana.

                   Pasolini diceva “Voglio lasciare l’Italia”. Era uno dei suoi leit motiv degli ultimi tempi. Nel dirlo c’era l’ironia di chi sa che, in realtà, non può farlo e, forse anche la prefigurazione della sua morte. Io credo che tutti noi lo sappiamo e un poeta poi lo sa, forse, non perché ha dei poteri mediatici o telepatici o di intuizione superiore a quella degli altri, ma lo sa per una specie di magico rapporto che ha con la realtà.

                   Pasolini sapeva da premonizioni, da sogni, dall’inconscio che si svelava attraverso i sogni, che la morte lo doveva colpire. Non gli piaceva la vita. Non gli piaceva più la realtà, diciamo la verità.

La verità è quella che Pasolini ha firmato, concludendo la sua vita terrena.

                  Lasciamo stare il fatto oggettivo, politico, della sua morte per mano dei fascisti, come io sono convinto che sia.  E proprio per ragioni di poesia. Ci arrivo attraverso la poesia, non attraverso la politica, l’ideologia, a spiegarmi quella morte lì, perché solo chi è impoetico totalmente, chi è barbaro, chi è nero, può pensare di uccidere un poeta come Pasolini.

 

                    Pasolini mi ha lasciato libero e io, di questa libertà, non so che farmene.

 

                     Non so che farmene, soprattutto perché mi sembra una condanna superiore a qualsiasi prigionia  a cui lui mi costringeva. Questo è l’amore che io ho per Pasolini. Parlarne per me, adesso, non è più neppure uno strazio, è una specie di confessione di fronte a questo Dio che mi ha tradito.

                     Bisogna liberarsi dei padri, bisogna ucciderli, ma Pasolini era un padre di tipo particolare, devo dire, uno che nella sua ferocia voleva vendetta. Pasolini, da me, vuole vendetta. Perché era molto feroce nella sua vendetta totale verso chi lo aveva cacciato dal mondo e dalla società italiana, già nel 1949, e anche prima, uccidendo il fratello, ammazzato, e non per motivi simbolici, dai comunisti. Eppure lui si era fatto comunista, per mettersi al di dentro di quello che era stato il carnefice del fratello.

                    Io rinnego il mondo sottoproletario e anche Pier Paolo lo rinnegherebbe, ma non perché ha prodotto Pino Pelosi, bensì perché ha prodotto quelle persone che, nel loro codice, hanno come primo barbarico moto del cuore, la vendetta. E i vari Sergio Citti, Ninetto Davoli e tutti quelli che si erano affratellati in un finto amore, in un inautentico amore per colui che poi non potevano amare, lo hanno ucciso un’altra volta, non vendicandolo.

                     Non lo potevano amare perché appartenevano ad un altro mondo. Pier Paolo lo sapeva che era un borghese e che era condannato ad essere tale, e pur essendo comunista non poteva che trafficarci eroticamente con il sottoproletariato, questo sottoproletariato che lo ha ucciso un’altra volta, non vendicandolo.

                       Che cos’è la vendetta? La vendetta è uccidere Pino Pelosi. E’ un atto che io, borghese, rifiuto, anzi io, piccolo borghese (voglio infierire su me stesso), con la mia coscienza rifiuto, perché è un sentimento spregevole, ma che nel mondo dell’omertà, nel mondo della malavita è un codice regale, è un codice che deve trionfare.

                        E invece gli amici di Pasolini non lo hanno vendicato. Si sono comportati come Pasolini d’altronde sapeva, perché quella era la diagnosi che faceva negli Scritti Corsari: il sottoproletariato era diventato borghese, piccolo borghese.

                        Piccolo borghese anche in questa rimozione della vendetta che Pasolini vuole, perché Pasolini è una persona che nella sua origine borghese, trascinava tutta la barbarie che ha messo nei suoi films, nelle sue opere del mondo antico, del mondo trapassato, quella che Moravia chiama “età dell’oro” e che fa torto a Pasolini, perché Pasolini non era un reazionario, ma era un rivoluzionario, con tutte le pieghe e i ripiegamenti di chi guarda il mondo della tradizione, che per un poeta è qualcosa di fermo, di lucido, di rivoluzionario.

                     La tradizione non è un fatto reazionario, è un fatto rivoluzionario scoprirla e nutrirsene. Quando lui diceva “sono una forza del passato”, era la più grande provocazione che possa fare un uomo di cultura oggi, perché è il passato che uccide il presente e uccide il futuro.

                    Però, il passato sottoproletariato non ha ucciso il futuro, che poi sarebbe Pino Pelosi. Il processo a Pino Pelosi per questo, dicevo all’inizio, è un fatto simbolico, perché vorrebbe mettere in mano a qualcuno di voi, il coltello della vendetta.

                     Il coltello della vendetta che, poi, si potrebbe trasformare in una simbolica uccisione di Pino Pelosi, fatta da colui che protesta e provoca e non ascolta e si nutre soltanto di parole come  purtroppo facciamo noi in questo momento di passività, di ripiegamento.

 

Io sono convinto che Pasolini, avrebbe fatto vendicare un suo amico se fosse stato ammazzato, nella maniera in cui è stato fatto ammazzare, come lui stesso è stato ammazzato.

 

                     Per cui mi sento colpevole, mi sento vittima di questo mio senso di colpa, mi sento orfano e tutti questi scatti, emozioni psicologiche che dentro di me convivono, non lasciano spazio ad una possibilità di oggettività. E’ un fatto traumatico, l’amore. Diceva Pasolini, “Amare, solo l’amore conta. Solo il conoscere. Non l’aver amato, non l’aver conosciuto”.

                     Io qui, in questo momento, sono consapevole che non mi libererò del fantasma di Pasolini finché non troverò pace, diciamo così, in un amore verso me stesso. Il fatto che però possa amarmi, possa chiarirmi (la chiarezza di cui parlava Laura Di Nola), viene offuscata dalla possibilità che Pino Pelosi sia fatto uscire, magari fra qualche giorno, solo per il fatto che ha ucciso un grande poeta, un grande artista come Pasolini e solo perché è questo che la società italiana voleva.

                    La società italiana è una comunità di false interpretazioni sociologiche, repressa e fascista nel profondo, e non produce che mostri, nonostante tutti quelli che l’abbelliscono, la impreziosiscono con orpelli modernistici. Per cui i Pino Pelosi devono essere assolti, per carità, per confermare questo tipo di società che non prevede altro che orrore e menzogna.

                     E’ un paese di menzogne, di perfidie, di mostruosità, mai portare sul piano della ragione. Ci si commuove per Cristina Mazzotti.       Intendiamoci, sono anch’io commosso e ricordo che Pasolini era commosso pure lui per le sorti di quella ragazza, ma io credo che le vite non valgano tutte alla stessa maniera. In questo io sono un aristocratico e non sono per niente egualitario. I discorsi di coloro che dicono che                Pasolini valeva quanto una Cristina Mazzotti, quanto una checca qualsiasi ammazzata sotto un ponte, sono discorsi di fascisti, di gente orrenda, perché non è assolutamente vero.

                     La vita di un poeta è la vita di chi arricchisce la collettività. Siccome s’è perso, però il senso di che cos’è un poeta e che cos’è la poesia, allora è vero che la vita di un poeta vale molto di meno di una qualsiasi checca morta sotto un ponte. Perché di questo Pasolini è contento: valere molto meno di una checca, allora sì, ma non valere quanto una checca.

                      E non perché la poesia, la conosce, la sa soltanto chi capisce che cos’è veramente. Io non lo so spiegare. D’altronde non c’è riuscito nessuno a spiegare cosa sia la poesia. Son cose che o si sentono o non si sentono.

Il marchio sui documenti dai gay in Baviera è una discriminazione che richiama sinistri esempi del passato.

Ma non la sola: paese che vai, intolleranza che trovi.

 

 

 

 

 

 

RISPETTO PER L’OMO

 

 

di Enzo Biagi

 

 

 

 

               Ognuno aveva un numero e un colore. Rosso, voleva dire oppositore. C’erano i neri, renitenti al lavoro e i verdi, criminali di professione, e i numeri rosa, per i “diversi”, e i gialli per gli ebrei. Sul loro documenti c’era anche una sigla “j” che sta per “jude”. Chi comandava in Germania era un tale Adolf Hitler.

              Adesso è diventato un caso di comportamento di certi poliziotti di Monaco, che sul passaporto di alcuni stranieri hanno aggiunto una annotazione: forse una “h”, che potrebbe voler dire omosessuale, ma anche prostituto, uno che esercita nel mondo degli invertiti. E’ una classifica basata sulle preferenze amatorie alla quale non siamo disponibili, e che riporta alla memoria tempi infelici.

              E’ una forma di discriminazione inaccettabile, che riconduce a manifestazioni odiose di intolleranza o addirittura di razzismo. Per i “tutori dell’ordine”, bavaresi, che arrivano fino a ispezionare i giochi delle mutande, rischierebbero di essere segnalati anche Michelangelo e Leonardo, figuriamoci quell’esibizionista di Oscar Wilde e l’irrefrenabile André Gide, che cadde in tentazione perfino durante il viaggio di nozze. E addirittura il “classico” Thomas Mann, così tormentato da incertezze, potrebbe avere, oltre alla nutrita e ammirata bibliografia, anche una scheda nel casellario giudiziario.

               E’ vero che la cattolica Baviera è il più conservatore del Lander, la figura più eminente che ha espresso nel dopoguerra è stato Franz Josef Strauss, leader dei cristiano-sociali, definito con ironia dagli avversari “il Churcill delle Alpi”, uno che voleva promuovere il riarmo psicologico dei tedeschi, il tipico “uomo forte”.

Aveva idee precise e otteneva larghi consensi. “La politica” affermava uno dei suoi motti “è saper dominare”.

Non aveva molti riguardi per i problemi psicologici e morali, diceva, per esempio: “Io non sono un vigliacco perché non sono un obiettore di coscienza”. Erano frequenti i suoi appelli “alla reazione sana della gioventù”.

               Anche il nazismo si propose di far pulizia, di “liberare la vita pubblica dal profumo soffocante dell’erotismo moderno”. Cinema e teatri, letteratura e manifesti dovevano ispirarsi alla nuova etica: venne subito ordinata la chiusura dei locali frequentati dai pederasti, calcolarono che fossero più di un milione, e degli alberghi a ore, e fu proibita la vendita, coi distributori automatici dei preservativi.

Tutto questo rigore non impedì all’ex studenti Horst Wessel, bardo delle camicie brune e autore dell’inno In alto la bandiera, di fine accoppiato dalla rivoltellata di una puttana. Ernst Rohm, comandante delle squadre di assalto, si intratteneva con giovanottoni nei bagni turchi e nel Kleist Casino di Berlino, rifugio di gentiluomini dai gusti insoliti, e anche quando Hitler gli sparò addosso era in compagnia di un’allegra, gonfia e sudaticcia brigata.

                Il fatale riferimento al Terzo Reich, in queste circostanze, è ovvio e ricorrente, come per ogni manifestazione del naziskin, gli imbecilli violenti che ostentano incredibili capigliature, inattuali svastiche e aggressive testimonianze di nostalgici costumi.

               Il marchio “omo” usato abusivamente non è solo una discriminante tra gli etero e gli altri, ma anche una forma di xenofobia: colpiva soprattutto i gay arrivati da fuori. Non è insomma un ritorno al passato, ma rivela preoccupazioni che nascono dal presente. Le ondate di immigrati, provenienti in gran parte dall’Est, creano seri problemi anche nella Bundesrepublik.

               Non credo che sia in arrivo un’altra Gestapo, ma capisco che quella stampigliatura crea allarme, prima di tutto tra chi già una volta ha sofferto di dolore provocato da queste iniziative che offendono la dignità umana.

Qualcuno teme che la Baviera sia solo un prologo: da quella parti circola ancora una barzelletta. “Hanno arrestato tutti i ciclisti e tutti gli ebrei” dice uno. E l’altro: “Perché i ciclisti?”

                  Paese che vai, intolleranza che trovi, e se in Israele stanno pensando di aprire una spiaggia “tutta per loro”, con turni bisettimanali di ingresso libero anche per le lesbiche, nello Zimbabwe lanciano una campagna contro tutta la compagnia, paragonata ai “ladri e gli assassini”.

 

                  Da noi, prende la parola il presidente dell’Arcigay e denuncia i soprusi di cui sono vittime gli aderenti alla associazione: 40 mila, in rappresentanza anche dei 3 milioni di italiani con identiche propensioni. Afferma che nei loro ritrovi non c’è n’è droga né trasgressione perché loro aspirano alla “normalità”: se si avverte una ossessione è quella del sesso.

 

                   Ma c’è chi negli impieghi “distingue”: puoi anche essere bravissimo, ma “se frequenti certi ambienti” ti lasciano a spasso.

E c’è chi annota le targhe davanti a certi luoghi di incontro per potere poi identificare i frequentatori. Il pregiudizio è sempre faticoso cacciarlo.

                  Franco Grillini è contento perché l’omosessualità non è più considerata dalla Organizzazione mondiale che si occupa della salute una malattia mentale, ma una variante del comportamento umano. Che va rispettata, mi pare ovvio, ma diventa fastidiosa quando viene esibita. Come la virilità ostentata, del resto.

                 Non vedo che ragioni ci siano per essere orgogliosi dell’attività erotica, per metterla in mostra addirittura sulle strade, o piazzando uomini e donne nudi come “provocazioni”: ma di chi?, in una sfilata di moda. Che non è l’arte di svestirsi.

 

PANORAMA

31.08.1995

venerdì 2 dicembre 2016


DORIANO GALLI, PIONIERE DELLE UNIONI CIVILI OMOSESSUALI

                                      di Franco Di Matteo

 

 

Che un diritto rimanga sulla carta è inconcepibile; eppure la compagine politica di centro-sinistra a cui appartiene l’onorevole Grillini, ha il vizietto di estorcere la fiducia agli elettori promettendo diritti che poi rimangono pura astrazione ma danno a chi li promulga la possibilità di farsi belli.

Al riguardo, Roma detiene la palma della malafede; la legge 328 sulle politiche sociale del gennaio 2000, emanata come coronamento del governo d’Alema, e detta “legge Turco” dalla allora ministra della Solidarietà Sociale Livia Turco che la emanò nel 2000, è finita nelle sgrinfie dell’assessora del partito della Margherita Raffaella Milano, che ovviamente si guarda bene dall’applicarla, optando per dei pietistici surrogati, vedi il cosiddetto “privato sociale” carrozzone clientelare di ambito cattolico, che consentono al politico di sinistra di turno, in questo caso Walter Veltroni, di accaparrarsi la poltrona, in barba al suo originale elettore, abbindolato con la promessa di garanzie di diritto, che poi, una volta ottenuto il voto, viene sistematicamente escluso, tanto di “fasce deboli”, alle quali estorcere in futuro un voto con il miraggio del diritto, se ne troveranno sempre. Ed è questa la vergognosa ‘cultura’ che muove le scelte dell’onorevole Franco Grillini, il quale, continua a promettere ai suoi elettori diritti che rimangono sulla carta.

La riprova la si è avuta qualche settimana fa, quando il Messaggero ha pubblicato l’annuncio che Doriano Galli, il 30 giugno, avrebbe richiesto al Tribunale civile di Roma un atto notarile di convivenza, avvalendosi di una legge in vigore dal 1937, di cui ha usufruito già nel lontano 1981. La cosa non è andata giù all’onorevole Grillini, che in un comunicato ha definito, tramite un legale, l’iniziativa di Doriano Galli ‘una bufala’.

Il giorno trenta, l’atto non è stato ratificato per l’opposizione della cancelliera Dionette, che ha asserito che la convivenza ‘more uxorio’ tra persone dello stesso sesso, lei non poteva accettarla.

Il primo luglio il Corriere della Sera pubblica l’articolo nel quale il reato di omissione d’atti d’ufficio della Dionette, veniva avallato dall’esponente di Alleanza Nazionale che ha grottescamente confuso delle presunte ‘nozze gay’ con un semplice atto notorio. Questi due personaggi, non volendo, hanno avvalorato la congruenza legale dell’atto di Doriano Galli, che perciò risulta tutt’altro che una bufala.

Sarebbe stato auspicabile, che almeno in questo frangente l’onorevole Grillini avesse espresso solidarietà a Doriano Galli, invece niente, grandi esaltazioni per Zapatero, ma in Italia, la legge che dovrebbe vedere la luce tramite il prossimo cartello elettorale Prodi-Fassino, deve avere un determinato marchio, e non ci si fa sfiorare dall’idea che la politica delle promesse e delle infingardaggini è finita.

I diritti, tra l’altro, al di là della legge del \1937, esistono di già, e sono quelli della Costituzione, ma qui si vuole ancora una volta ricreare il solluchero della promessa, altrimenti, i D.S., a cosa stanno a fare?

Luglio 2005

 

sabato 26 novembre 2016

RICORDANDO DORIANO GALLI, PIONIERE DELLE UNIONI CIVILI IN ITALIA


 

 

 

 
Doriano Galli (1952-2008)
segretario della lega - Adele Faccio- per i diritti sessuali della persona
 
 
 
 

             Sento il bisogno e il dovere di ricordare Doriano Galli di cui ho appreso da poco tempo la notizia della sua morte avvenuta oramai otto anni fa  l’11 marzo del 2008, all’età di 56 anni.
Doriano si era schierato consapevolmente  dalla parte dei perdenti, ma è andato avanti con le sue idee per tutta la  sua esistenza, senza mai retrocedere e vendersi al miglior offerente.  Militante del  Partito Radicale, dopo lo scioglimento del FUORI ( a cui aderì dal 1974) proseguì il suo impegno politico e sociale con la Lega Adele Faccio per i diritti sessuali della persona.

Doriano Galli con Adele Faccio
 
             E’ passato alla storia del movimento gay italiano già da quando era in vita, per aver fatto esplodere la bomba del “ matrimonio” tra omosessuali nei primissimi anni ottanta (anche se ci lavorava dal 1972) –  quando cioè  fra i vari Consoli, Bellezza e Pezzana si teorizzava la fine della famiglia  - e a farlo diventare il cavallo di battaglia di tutto il movimento glbt,  praticamente fino ai giorni nostri.  Era dispiaciuto per come la sinistra, prendendo in mano le redini del movimento glbt,  stesse facendo vivere in locali-ghetto  gli omosessuali  nel nostro Paese, senza conferirgli un minimo di dignità e per giunta arricchendosi sulla loro pelle. Era orgogliosamente omosessuale e orgogliosamente frocio! Una volta trascinò in tribunale un tizio solo perché lo aveva definito gay e non omosessuale!  Ma erano altri tempi. E poi le battaglie per il divorzio e l’aborto e per i diritti delle donne. Aprì, in epoca non sospetta, quando cioè non si attivavano le strutture per poi richiedere i finanziamenti pubblici allo Stato,  uno dei primi consultori rivolti a tutti, dove insegnare alla gente la contraccezione e  a prevenire le malattie veneree (nel 1977 presentò il suo libro sulle malattie veneree all’OMPOS di Consoli ) .  E ancora la cancellazione dalla lista di malattie mentali  da parte dell’O.M.S. dell’omosessualità ..e poi l’esenzione dal servizio militare, la difesa dei transessuali, la battaglia contro l’Università Cattolica e Agostino Gemelli e le denunce contro i cardinali omofobi e l’ingerenza del Vaticano.

Doriano Galli 1994
 


         Nel 2005  lo  accompagnai in tribunale in quella che, probabilmente, sarebbe stata la sua ultima battaglia. A differenza delle unioni “famose” del 1981 e del 1988, quella volta  andò male perché la cancelliera  si rifiutò di ratificare l’atto della sua quinta convivenza more uxorio “. “Deve aver ricevuto pressioni dall’alto” confidò al Corriere della Sera.  Come non credergli. Doriano protesta scrivendo inutilmente  a Ciampi,  a chi invece dovrebbe garantire l’applicazione della carta costituzionale, ricordandogli che “Il suo atto di convivenza del 1981,   portato a Strasburgo dall’on.le Vera Squarcialupi provocò la Risoluzione Roth, e quindi, la riforma Zapatero, in Spagna. L’Italia si confermò anche in questo campo , faro del diritto. Ora  non facciamola diventare  il fanalino di coda dell’Europa”.
 

               All’indomani delle “niente nozze gay”come scrisse il Tempo,  da parte dell’associazionismo ufficiale glbt, a parte Imma Battaglia di Di’Gay Project, NGL, Alba Montori e pochi altri,  non arrivò nessun attestato di solidarietà.

 

Non mi meraviglio quindi che anche la  sua morte sia passata inosservata.
     
Doriano Galli 2005
          Caro Doriano,  ti voglio ricordare cosi, mentre passeggi  a ridosso delle mura vaticane dove abitavi, con il bastone , il sigaro in bocca, la barba  incolta, la tua voce baritonale e portando a spasso il tuo cane di nome Frocetto.

P.S. Ti mandano i loro saluti e ringraziamenti anche Adriano e Marco perché grazie alle tue informazioni fornitegli, 10 anni fa, ottennero uno stato di famiglia dal loro Municipio, e in tal modo  riuscirono  a risolvere un po’ di problemi.

P.P.S. Un movimento gay riconoscente avrebbe dovuto dedicare a lui l’approvazione della “legge Cirinnà”:   è ancora in tempo per farlo.

Antonio Di Giacomo

 
 


               

 



 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

venerdì 25 novembre 2016

DORIANO GALLI AL PRESIDENTE PERTINI: IL 2 GIUGNO RICORDI ANCHE GLI OMOSESSUALI CHE SI SACRIFICARONO PER LA LOTTA CONTRO IL NAZIFASCISMO


 

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE SANDRO PERTINI

 
DEL 1979
 

 

 

Onorevole Presidente,

in questo giorno dedicato al ricordo della Liberazione dal nazi-fascismo e dagli orrori che esso ha comportato, l’associazione  Fuori!-Aurelio deve chiedere che venga reso un atto di giustizia. Sappiamo bene, infatti, che gli omosessuali hanno duramente pagato, spesso con la vita, il fascismo; hanno subito deportazioni e soprusi, hanno avuto il confino e l’emarginazione più atroce , che  non è ancora finita. Orbene, mai nessun omosessuale è stato menzionato come tale tra i partigiani né tra le vittime, né tra i sopravvissuti. A tale proposito deve essere ricordato che persino la Germania, culla dell’oppressione nazista, ricorda a chiare lettere -  sulle lapidi commemorative apposte vicino ai campi di sterminio – gli omosessuali, nonostante in Germania fosse esistito fino a poco tempo fa un preciso articolo di legge che criminalizzava l’omosessualità.

In Italia, invece, tutto tace. Dalla dichiarazione di Mussolini che asseriva non esistere in Italia il problema omosessuale, mai più nessuno – nonostante la più ampia libertà legale, che non colpevolizza tale forma di sessualità – ha parlato degli omosessuali come persone.
Ella, Signor Presidente, deve però ricordare, anche per aver Ella stesso partecipato alla Resistenza, che molti dei Suoi commilitoni di allora, molti Suoi amici caduti, forse, molti altri a Lei sconosciuti, che hanno combattuto per ridare alla Nazione che Ella rappresenta un volto umano, sono omosessuali. Ne troveremo senz’altro in ogni luogo, da Redipuglia alle Fosse Ardeatine. E’ necessario, perciò, che questa realtà sia resa palese; del parti degli Ebrei – che pur sentiamo a noi vicini nell’emarginazione e nel


sopruso subito – anche noi omosessuali abbiamo diritto ad essere nominati.

Essere omosessuali non è una colpa né un reato: è un modo di essere, del pari di tanti altri accettati.

Signor Presidente, siamo certi che Ella, quale primo difensore della Costituzione si farà promotore di una iniziativa volta a riconoscere agli omosessuali il posto che loro spetta anche nelle fila della Resistenza, oltre che nella attuale vita politica italiana.

Siamo, inoltre certi, che, quale primo atto di tale riconoscimento Ella lascerà che una nostra delegazione porti il 2 Giugno prossimo un cuscino di fiori sull’Altare della Patria, assieme alle corone delle varie Autorità ed Associazioni, in memoria degli omosessuali caduti in tutte le guerre, per la Libertà.

Con osservanza
Associazione  “Fuori! Aurelio”



SONO FROCI VADANO A FARSI FOTTERE

 

 

Roma: Pasqua – La polizia ferma tre omosessuali del Fuori! in piazza S.Pietro, dopo che un passante li ha insultati. Dopo la marcia per la pace, alcuni compagni del Fuori! erano entrati in Piazza S.Pietro, recando il proprio striscione piegato sul braccio. Vedevano numerosi altri striscioni presenti tra la folla e decidevano di presenziare al Rito, dispiegando il proprio. Reggevano lo striscione Doriano Galli, Giovanni Pellegrini e Raniero Pompili; erano presenti tra gli altri Giuliana e Anna Lisa  (che scattavano numerose foto). Si avvicinavano due agenti, ai quali veniva spiegato che il gruppo non manifestava, si era solo nomato – al pari degli altri gruppi presenti – per assistere alla Funzione. Gli agenti si allontanavano e nessuno disturbava il gruppo. Dopo circa mezz’ora, uno sconosciuto – identificato poi per A. A. commerciante di  Roma, – insultava il Fuori!; Sono froci! Vadano a farsi fottere! Chiamava la polizia, che fermava i tre che reggevano lo striscione minacciando denunce. Doriano Galli e Giovanni Pellegrini, imponevano l’identificazione dell’A. e denunceranno il medesimo.

Doriano Galli

 

LOTTA CONTINUA

26 aprile 1979








IL NOSTRO CORPO

 

 

 

 

 

 

 

Il nostro corpo! Non c’è nulla di più sconosciuto per noi. Infatti, basta pensare al modo che usiamo parlando di esso come se fosse qualcosa di alieno a noi ed a noi quasi lontano, invece che essere tutto ciò che siamo, per renderci conto di quanto siamo alienati nel nostro pensiero. La stragrande maggioranza di noi non conosce neppure come sia fatto, né tantomeno come il proprio fisico funziona. E’ atterrita, perciò da malattie e persino da fenomeni fisiologici, quali, ad esempio, la polluzione o la prima mestruazione.

Non parliamo, poi, del grado di alienazione e paura che raggiungiamo noi omosessuali, che siamo spinti ancor più degli altri a fare i nostri tabù e le limitazioni di pensiero e di conoscenze della società intera. Vorrei a questo proposito sapere quanti di noi abbiano vissuto serenamente e gioiosamente il primo rapporto o la prima penetrazione passiva; quanti ancora non siano riusciti a superare blocchi che impediscano tale modo di far l’amore, dietro la scusa di inesistenti dolori o terrori inerenti il possibile contagio di malattie veneree, anch’esse considerate quasi di classe di parte, sottaciute e velate di mistero e di peccato. Mi pare che sia ora di smetterla di tacere e sia, invece, giunto il momento di parlare apertamente di tutto ciò che concerne il nostro corpo ed i modi con cui esso si rapporta con altri, recuperando, in tal modo, la propria corporalità.

Dal 1975 ho dato vita a Roma, a un Consultorio, con interesse particolarmente volto alla demitizzazione delle malattie veneree; ora mi piacerebbe affrontare in vari momenti ed in più tempi, sul nostro giornale, argomenti diversi, dei quali ho avuto modo già di parlare in sede consultoriale; per cui, vorrei parlare di malattie connesse col rapporto sessuale, dei problemi che può suscitare l’atto di prenderlo in culo, dell’anatomia e della fisiologia del nostro corpo, affinché possiamo capirci meglio e capire l’altro.

Non amo, però, fare articoli di tipo accademico, per cui mi sarebbe gradito un vostro contributo e stimolo, che può consistere in segnalazioni o rettifiche, ovvero nel porre quesiti generici o specifici, onde trasformare ciò che sarebbe una sterile dissertazione in un più ampio dialogo e scambio.

Sul prossimo numero, per iniziare, ho intenzione di parlare un po’ del “coito anale”, questo tanto desiderato e temuto aspetto della sessualità.

Ciao a tutti

Doriano Galli

 

FUORI n. 20 del 1978




 

                BOCCIATE IL FROCIO

 

                   di DORIANO GALLI

 

 

 

 

                Sono oramai cinque mesi che perdura la lotta dei compagni del FUORI! contro l’Università Cattolica.

Questa, infatti, dal giugno del 1977 ha attuato un boicottaggio agli esami dello scrivente, in quanto il sottoscritto ha portato sulle piazze e nelle strade la propria omosessualità unendosi al Fuori!, con orgoglio e gioia.

                Da un anno, ormai, è stato posto nei confronti di questo “orrendo crimine” un ostracismo ad oltranza, per nulla mitigato dalle denunce ripetute alla pubblica opinione, suffragate anche dal nome del Dott. Antonio Federici (del reparto del Prof. Gino Gambassi, colui che boicotta), il quale ha confermato in presenza di un compagno del Fuori! di Roma, l’avvenuto blocco, già dichiarato in colloquio privato, dall’Assistente Spirituale, Mons. Elio Sgreccia.

                Per tre volte il Fuori!-Romano ha volantinato davanti al Policlinico Gemelli, in collaborazione col CARM (Coll.Abolizione Regolamenti Manicomiali) e con gli stessi Sindacati lavoratori del Policlinico. Altre volte il sottoscritto ha parlato alle assemblee dei lavoratori e delle Donne, ottenendo la completa solidarietà del personale paramedico, espressa dalla mozione sindacale approvata all’unanimità dall’assemblea del 24 gennaio. La stessa XIX Circoscrizione romana, nella quale è ubicata l’U.C. si è occupata del caso, suscitato dal Consigliere Radicale, Roberto De Rossi, ed ha prodotto un documento di solidarietà. Sono state persino effettuate trasmissioni alle Radio Libere ed alla Rai (“Voi ed io” del 7/2).

                 Pure, nonostante la solidarietà ottenuta, nulla è stato detto ufficialmente dalla Cattolica. Il suo stesso silenzio è una risposta, forse più eloquente di molte altre. Il silenzio, infatti, vuole significare disorientamento ed incapacità di controllare la forza degli omosessuali rivendicanti i propri diritti all’esistenza ed alla propria dignità. Significa, inoltre, lo stato di attesa del reo, pauroso come può esserlo solo l’intrigante scoperto e trascinato alla luce del sole, che egli teme, quasi fosse una talpa.

  Questo momento, perciò, da caso singolo diventa -  lasciate che lo dica –

un momento importantissimo per tutti gli omosessuali, stimolo e certezza di riuscita. Non si deve, infatti, dimenticare che grazie a  questa lotta, forse per la prima volta, è stato ottenuto l’impegno unanime, per un omosessuale, di un’assemblea sindacale e di un consiglio circoscrizionale.

 

                   Questi documenti resteranno come pregiudiziali per ogni eventuale lotta futura e sono inoppugnabili prove che il porsi in mezzo alla gente, senza tema, può solo portare frutti positivi e non ulteriori emarginazioni, create, a mio parere, più dalla nostra paura che dalle persone che ci circondano.

 

FUORI – Anno VIII  n.19  sett-ott. 1978

lunedì 11 luglio 2016

CONSOLI: I MIEI 15 CONSIGLI PER NON FARSI AMMAZZARE DALLE MARCHETTE


                  Questo opuscolo è stato realizzato autonomamente dall’Archivio Massimo Consoli (nato in maniera informale nel 1959), senza alcun tipo di contributo pubblico, al contrario di quanto accade per altre organizzazioni che dicono di lottare per la causa gay ma, in realtà, sembrano pensare più ai loro interessi.

In particolare, non sono intervenuti in alcun modo, né il Comune di Roma, né la Provincia, la Regione, il governo italiano e nessuno dei suoi ministeri o delle organizzazioni statali, parastatali, cripto statali, cioè le istituzioni che dovrebbero prendersi cura di questa tematica (altrimenti decade il senso della loro stessa esistenza: a che pro’ l’uomo sceglie di vivere in società se non per trarne vantaggi sotto forma di servizi?).

 

                  Questo documento continua la politica di interventi sul sociale e sul territorio della nostra organizzazione che, sempre senza essere mai stata finanziata in nessun modo e senza godere di nessuna forma di agevolazione, ha stampato e diffuso (prima in Italia) vari opuscoletti di informazioni su come evitare l’aids, come comportarsi quando qualcuno rimane contagiato, consigli ad uso degli operatori sanitari, etc. Finora, sempre unico nel nostro Paese, l’Archivio Massimo Consoli ha stampato e diffuso brochures in una quindicina di lingue diverse (dall’arabo al cinese, dal serbo-croato al tedesco, dall’inglese al turco, dallo spagnolo al portoghese..) ad uso dei lavoratori e degli stranieri ospiti.

 

                   Per aiutarci a continuare nel nostro lavoro che beneficia l’intera società, è di estrema urgenza un contributo finanziario, di qualsiasi importo, che potrete spedire all’indirizzo pubblicato nel riquadro in fondo.

Roma. La comunità gay, nel nostro paese e soprattutto nella nostra città, è ben lontana dall’aver raggiunto quel minimo di organizzazione e di coordinamento che altrove ne hanno garantito il successo e imposta l’autorevolezza. Da noi non esistono strutture che facilitano la socializzazione. Il ragazzo che a 10-15 anni capisce di essere gay non sa dove andare, a chi rivolgersi. E’ un’esperienza comune ad ogni giovane, in questo momento delicato, credere di essere completamente solo: l’unico mostro sulla faccia della terra.

 

                    Questo spiega perché, secondo ricerche effettuate presso l’Università del Minnesota e di Washington dallo U.S. Department of Health and Human Services,” 1/3 di tutti i tentativi di suicidio effettuati da adolescenti nordamericani riguarda gay portati alla disperazione dall’ostracismo dei compagni di scuola, della famiglia, della comunità in cui vivono”. Così come la mancanza di modelli validi con i quali identificarsi (il gay è sempre accumunato all’idea della morte, della corruzione, dell’effeminatezza forzata..) spinge alla prostituzione minorile, provoca l’aumento delle malattie a trasmissione sessuale, conduce alla tossicodipendenza. E se questi dati riguardano gli USA con tutte le loro strutture e la loro cultura storica sull’argomento, è opinione comune che la situazione italiana sia molto peggiore.

                       In effetti, una delle richieste più pressanti (e disattese) che abbiamo rivolto all’amministrazione comunale, è stata quella di un centro di accoglienza e orientamento riservato ai gay giovani e giovanissimi con problemi di identità. Un’altra proposta (altrettanto disattesa) è stata quella di occuparci di prostituti maschi minorenni, molto spesso eterosessuali, molto spesso tossicodipendenti, molto spesso stranieri, molto spesso pericolosissimi perché è da loro che vengono le azioni criminali più sconsiderate ed estreme.

 

                        Ma, in mancanza di una risposta da parte di chi fa orecchie da mercante, la nostra comunità cerca di organizzarsi alla meno peggio difendendosi con gli scarsi mezzi a disposizione. Tra questi, i consigli, dettati dall’esperienza e che si basano sulla realtà concreta di quello che ci succede giorno dopo giorno.

 

                        Questi 15 consigli che abbiamo pubblicato per la prima volta (e sempre primi in Italia) nell’aprile del 1993, sono stati ripresi più o meno parzialmente da numerosi giornali (dal Paese Sera al Corriere della Sera al Guardian di Londra). In versione originale, sono già apparsi su Rome Gay News e su Sabazio. Li ripubblichiamo un’altra volta con la speranza di raggiungere più lettori possibile convinti che, così facendo, riusciremo a salvare la vita preziosa di qualche nostro amico, di qualche nostro fratello.

Ci saremo riusciti?

 

 

 

 

MASSIMO CONSOLI  (novembre 1996)

PER NON MORIRE D’AMORE

 

1. Evitare finché possibile, luoghi conosciuti come pericolosi e certi locali di cattiva fama all’interno della comunità, dove avvengono continuamente aggressioni, rapine, esibizionismi di cretini che devono scaricare così i brutti voti che prendono a scuola (quando ci vanno!) o l’impotenza che li affligge quando ci provano (e non ci riescono) con le loro ragazze.

 

2. Se non se ne può fare a meno, allora cercate di non restare mai isolati, o andateci con un amico.

 

3. Non vi presentate come la Madonna di Pompei (“Monsignore”, va a battere con otto anelli d’oro…finto. I march ettari, che non lo sanno, ogni tanto lo riempono di botte e glieli rubano. E lui è contento perché dice: “Li ho fregati!” Mah…! Felice lui!)

 

4. Evitate come la peste ( o come l’aids!) quelli che chiedono soldi a ripetizione. Un aiuto, nella fase iniziale di un rapporto, è moralmente corretto. Ma se il vostro amico vuol essere pagato ad ogni prestazione vuol dire che avete sprecato i soldi della palestra e del lifting. Cercatevi qualcun altro che apprezzi questi sforzi!

 

5. Ogni volta che si fa una nuova conoscenza dovrebbe essere scontato scambiarsi i primi convenevoli: nome, età, provenienza, se vive in famiglia, dove sono i genitori, che lavoro fa, chi amici in comune conosce.

 

6. Pubblicizzare al massimo l’incontro appena avvenuto, se si ha intenzione di portarsi il partner a casa o di andare insieme a lui in qualsiasi altro posto. In questo caso si salutano i propri conoscenti presentando loro, con nonchalance, il nuovo amico e utilizzando battute-chiave che abbiano lo scopo di far sapere chi è. (“Ciao Massimo, io vado a casa perché fa freddo. Ti presento Fabio, è di Barletta. Pensa che è arrivato da due mesi e già parla romanaccio. Hai visto? Ha 25 anni me ne dimostra 18..”)

 

7. Una volta arrivati a casa, si spera che non teniate coltellacci da cucina bene in vista, o le vostre parures di gioielli in vetrina o lo scrignetto tempestato d’oro con i risparmi degli ultimi due anni sul comodino accanto al letto: le tentazioni vanno sempre evitate. La persona più onesta al mondo, all’occasione, può diventare il peggior ladro o assassino (per avere degli esempi, guardate il Parlamento!).

 

8 Evitate esibizionismi inutili di ricchezze, di attività prestigiose, conoscenze altolocate, vanterie. Chi avete rimorchiato: il (si spera) grande amore della vostra vita o l’esecutore testamentario dei vostri beni?

 

9. E’ sempre meglio conoscersi a vicenda per un po’ di tempo, prima di fare all’amore: qualche giorno o qualche settimana, ma se per voi “un po’ di tempo” significa un quarto d’ora…almeno date un’occhiata a chi vi trovate di fronte (finalmente nudo!) e diffidate categoricamente di tutto ciò che vi sembra strano: macchioline, pustolette, foruncolosi. Di questi tempi è sempre meglio una scopata in meno che un cadavere in più. Ovviamente, il preservativo è un “must”!

 

10. Se possibile, non vivete da soli. Cercate di avere un partner, un amico, un affittuario. A parte tutti gli indubitabili vantaggi della compagnia (si, lo so, ci sono anche gli svantaggi!), le statistiche dicono che il 100% dei morti ammazzati vivevano da soli (o erano soli al momento dell’omicidio).

 

11. Fate una telefonata ad un amico, con una scusa qualsiasi, per parlare di chi avete in casa. (Dario  (Bellezza nda) aveva l’abitudine di chiamarmi, a qualsiasi ora della notte! per disdire un inesistente appuntamento: Ciao, Massimo. Scusa ma stasera non posso venire perché ho conosciuto un ragazzo molto simpatico, di Djierba. Si, proprio dell’isola di Djierba in Tunisia, dove voglio andare l’estate prossima. Fa il pescatore. Si. No, il padre no, è impiegato delle poste. Si. Pensa che vive a Roma da due anni e non l’avevo mai visto. Con degli amici a Torre Maura. Perché non vieni tu, a trovarci, un po’ più tardi?” Con delle indicazioni così precise, e con la minaccia di un amico che può venire da un momento all’altro, chi si azzarderebbe a commettere un delitto? E’ vero che c’è la possibilità che il partner abbia mentito nel parlare di se stesso, ma l’esperienza insegna che questo avviene molto raramente. Nessuno, in questi casi, va a casa di uno con la predeterminazione di ucciderlo e di conseguenza non si prepara un’identità fasulla per evitare di essere rintracciato).

 

12. Bene, ora che finalmente vi siete infilati dentro il letto (e per questa notte non avrete bisogno della borsa dell’acqua calda!), non uscitevene a sorpresa con richieste “strane” E’ vero che tutto è lecito se fatto tra consenzienti maturi e vaccinati ma, appunto, bisogna essere consenzienti ed aver messo prima le carte in tavola. Non è corretto presentarsi come Biancaneve in cerca della nonnina, e poi (sotto le lenzuola) trasformarsi nel lupo cattivo!

 

13. Di fronte a richieste “strane” da parte del vostro partner, invece, o di fronte a vere e proprie minacce, non esitate, non pensate ai vicini (“Dio mio, capiranno tutto!”). State tranquilli, i vicini hanno già capito tutto da molto tempo ma si comportano con molta educazione perché, alla fin fine, gli siete simpatico e si sono perfino affezionati a voi mentre voi, paranoici, pensate che stanno raccogliendo le firme per cacciarvi dal condominio. Allora, urlate pure, con tutto il fiato che avete in gola. Al limite, fate come Riccardo che si trovò tre-quattro ragazzi con le rivoltelle dentro casa e, “nudo come un pitone”), spalancò a sorpresa la porta sul pianerottolo urlando aiuto. I ragazzi sono andati in galera, Riccardo è vivo e vegeto (e oggi più “anaconda” che “pitone”) ed i vicini sono diventati un po’ più gentili di prima.

 

14. In caso di scampato pericolo, denunciate l’aggressore fornendo tutte le indicazioni possibili. E’ vero che la polizia ha molto da imparare, ma può cambiare (in meglio e rapidamente) solo se tormentiamo i commissariati con montagne di carta bollata.

 

15. Un ultimo consiglio: in Germania e in America si usa addirittura pubblicare nomi, cognomi, numeri di telefono e indirizzi di riconosciuti ricattatori, aggressori o personaggi turbolenti che abbiano dato fastidio ai gay, in volantini che circolano all’interno della comunità e dei luoghi di battonaggio e che spesso vengono ripresi anche da alcuni giornali. Se vi risulta che tipi pericolosi hanno una certa abitudine a frequentare certi posti, mandatecene una descrizione con qualche rigo di commento al nostro indirizzo.

Anche via fax

Buon divertimento