domenica 18 maggio 2014

 
 
 
 
 
 
 
   
 
                      http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/03/omofobia-in-europa/699821/

sabato 10 maggio 2014

GAY IGNORANTI: DARIO BELLEZZA ....E CHI E'?

Il Circolo Michelagniolo e l'Archivio Massimo Consoli  il 24 gennaio 1996 promossero in tutt'Italia una  raccolta di firme per sensibilizzare le Istituzioni a conferire il vitalizio Bacchelli al poeta Dario Bellezza. L'iniziativa ebbe successo anche se il vitalizio arrivò poco prima che il poeta morisse il 31 marzo 1996. All'inaugurazione della campagna tenutasi alla discoteca L'Alibi di Roma, intervennero  Marina Ripa di Meana (madrina della serata), il leader dei verdi Carlo Ripa di Meana,  Leo Gullotta, Nichi Vendola, Massimo Consoli , Antonio Di Giacomo, Maria Ridolfi,, Anselmo Cadelli, Vanni Piccolo.  Questo contributo video è possibile riproporlo dopo 18 anni dalla morte di Dario Bellezza,  grazie alla redazione di Teletuscolo.

https://www.youtube.com/watch?v=UnFz63lfoQQ 
https://www.youtube.com/watch?v=FqdSJ07ic7c

Qui di seguito riportiamo l'intervista che Gianluca (il cognome purtroppo non lo conosciamo) giornalista di Teletuscolo, fece in quella occasione ad un giovane Nichi Vendola intervenuto alla serata. Il giornalista girando per il locale fa una scoperta 'sensazionale' e cioè scopre che la maggioranza dei gay presenti all'Alibi non conoscono il  poeta Dario Bellezza. Non solo  Dario Bellezza è sconosciuto come poeta (fra l'altro ospite fisso al Maurizio Costanzo Show)  ma anche come uno dei primi militanti del movimento gay italiano. Nichi Vendola, rispondendo a questa osservazione, approfitta  per dare una tiratina d'orecchie ai vertici del movimento gay italiano.
 

 GIANLUCA (GIORNALISTA DI TELETUSCOLO) :

Ci troviamo con l’onorevole Nichi Vendola parliamo di questa serata per Dario Bellezza per la richiesta di questo vitalizio. Io mi sono chiesto anche parlando con altre persone, c’è bisogno di chiederlo, di implorarlo, di supplicarlo? C’è bisogno di parlarne in maniera così pressante? Non dovrebbe essere un diritto e  un dovere  soprattutto per le Istituzioni, riconoscere a Dario Bellezza, quello che gli è dovuto e cioè tantissimo, io credo.

VENDOLA:

Questa vicenda miserabile dice tanto di questo Paese. Il fatto che una voce limpida, cristallina, controcorrente, inattuale, come quella di Dario Bellezza, di un poeta genuino, perfino ottocentesco, fuori da qualunque possibile ammiccamento con i salotti intellettuali; il fatto che Dario debba in qualche maniera esibire una condizione di difficoltà quando la malattia incalza e quando il bisogno di curarsi e il bisogno di vivere dignitosamente questa stagione così difficile, di lotta per lui, debba affidarsi alla pubblica solidarietà, affinché lo Stato si ricordi di lui, beh questa vicenda la dice lunga su quale sia lo stato dell’arte in Italia. Quale sia lo spirito pubblico. Io sono molto sofferente perché ci sono personaggi da quattro soldi che hanno la tribuna del video, quattrini in proporzioni smisurate. Una voce davvero così appartata cosi segreta che ha saputo ritagliarsi il gusto della scrittura per la scrittura; senza mai cedere a forme di prostituzione nei confronti di questo, diciamo, seducente mercato intellettuale in technicolor. Il fatto che ci sia una voce così è straordinariamente importante, Dario paga la sua inattualità, il suo essere out, il suo essere fuori da qualunque giro. Paga questo essere fino in fondo un uomo del passato. Io credo che noi abbiamo bisogno di questi uomini del passato, perché in qualche maniera ci raccontano l’orrore di un presente senza memoria, senza poesia, senza capacità di sguardo. Ecco questo è Dario Bellezza. La legge Bacchelli, la legge per un vitalizio a Dario Bellezza, è semplicemente un gesto minimo di risarcimento nei confronti di questa voce stonata, di questa voce fuori dal coro, spezzata, singhiozzante. A volte singhiozzante in maniera enfatica, retorica. Come  una corda di violino. Beh credo nel grande rumore della metropoli consumista, quella corda di violino che è la voce di Dario Bellezza serva a ricordarci cose di cui ci siamo dimenticati. Oggi ha vinto l’oblio. E solo in virtù dell’oblio che si può consentire a Dario Bellezza questa deriva di povertà. Ma credo che forse, la comunità gay, la comunità  intellettuale, la gente sensibile può aiutarci a ritrovare la capacità di ascolto di quella voce anche per restituirle ciò che merita. Anche per riscattare per noi, non per Dario Bellezza, un minimo di decenza.

 GIANLUCA (GIORNALISTA DI TELETUSCOLO) :

Quando parliamo di movimento gay io devo rendere noto, devo constatare che andando in giro per questo locale, l’Alibi qui a Roma, molti ragazzi dicevano, ma che succede questa sera, io rispondevo Dario Bellezza e loro.. e chi è Dario Bellezza? Ora anche se è brutto relegare Dario Bellezza al movimento gay perché Dario Bellezza è patrimonio di tutti, è patrimonio della storia, è patrimonio della letteratura. Allora cosa  differenzia questo scatto di società che non conosce più, nel senso che ignora?

VENDOLA:

Il movimento gay non è un’isola felice, è esattamente interno alla miseria e alle contraddizioni del tempo nostro, quando io dico l’oblio, dico un oblio che attraversa tutti, ogni condizione, ogni identità. Il movimento gay è un pezzettino piccolo della condizione gay. Sono milioni e milioni in Italia gli omosessuali e la maggioranza di questi ignorano Dario Bellezza e ignorano tante altre cose perché non vi è cultura in questo Paese, perché non vi è memoria in questo Paese, nell’Occidente, credo, in questa fase storica. Credo che pure il movimento gay debba  un po’fare  un lavoro quasi archeologico, di ricostruire pezzi anche della memoria più antica. Quelli che sono sedimentati nel tempo ma che pare non hanno lasciato tracce nel nostro presente appunto così smemorato. Il movimento gay dovrebbe più frequentemente interrogare momenti così particolari come Dario Bellezza. Certo, Dario Bellezza è il contrario, diciamo, dell’edonismo, che a volte attraversa anche il mondo gay, anche un mondo come quello  discoteche, come quello dell’Alibi. E’ una dimensione più legata all’iconografia  del calvario, del martirio della diversità. Forse questo è fuori moda. Però tanti giovani gay non sarebbero nella condizione di vivere, non dico felicemente, ma senza esagerati drammi la loro condizione, se non ci fosse stato chi ha cominciato a raccontare, a narrare in prosa e in versi, che cosa significa l’amore di un uomo per un altro uomo, lo sguardo di un uomo verso il volto di un altro uomo. Mani di uomini che  incrociano e stringono mani di uomini. Ecco Dario ha raccontato questo e lo ha raccontato nell’epopea dell’infelicità quotidiana. L’ha raccontato nella trama di mille perdite, di mille lutti quotidiani. Lo sperma di cui parla Dario Bellezza è lo sperma di amori che non sono prolifici e che quindi sono elaborazioni di lutti. L’impossibilità di essere padri, diciamo, a volte, come qualcosa che è strettamente legato all’immaginario omosessuale. Beh di questo c’ha parlato Dario Bellezza, vivaddio. Se riprendessimo a parlare anche di questo, sarebbe perfino  più vera l’allegria del danzare. Se ci fosse più gusto anche del dolore, più gusto anche dell’interrogazione, dell’interrogazione anche scabrosa, sul tempo nostro e su noi stessi. Su noi creature un po’ sperdute in questo tempo, in questo tempo labirintico.

IL 5X1000 SOLTANTO ALLE ASSOCIAZIONI CHE PUBBLICANO ONLINE IL LORO BILANCIO!




DI'GAY PROJECT NON PUBBLICA
ONLINE IL PROPRIO
BILANCIO
 
  Tempo da dichiarazione dei redditi, tempo da dichiarazione del nostro  5X1000.  Se andate a visitare i siti delle principali associazioni glbt troverete la pubblicità che invita a donargli  il vostro 5x1000. Tutte le associazioni glbt, tranne l'arcigay che lo sta facendo a partire dal 2007, non pubblicano online i propri bilanci. Eppure come già sostenevo nel passato, quello stesso strumento (il web) viene da questa gente oramai  usato come veicolo  di comunicazione per raggiungerci. Non dico che la pubblicazione dei bilanci online sia la soluzione a tutti  i problemi che ha il mondo glbt, ma certamente è un buon inizio per far nascere una reale comunità. E invece niente, certa gente, che addirittura si dichiara di sinistra,  pare che non voglia capire che la 'trasparenza' viene prima di tante  promesse  che ci hanno fatto in tutti questi anni. Promesse che,  a tutt'oggi, sono rimaste soltanto sulla carta.

       Ripubblico una conversazione avuta con un volontario e/o dirigente anonimo dell'Arcigay nel 2005, prima che questa associazione decidesse di pubblicare online i propri bilanci, conversazione che, a proposito di comunità da costruire, trovo più che mai di  attualità.





krojb70 <krojb70@yahoo.it>ha scritto:
Tutto quello che non hai detto sul sesso, perché nessuno te l'ha mai
chiesto
http://www.modidi.net/
E' un questionario. Se volete rispondete alle domande




----- Original Message -----
From:antonio di giacomo
To:MASCHIGAY@yahoogroups.com
Sent:Tuesday, June 07, 2005 8:29 PM

IL CIRCOLO MARIO MIELI NON PUBBLICA
ONLINE IL PROPRIO BILANCIO
 
Subject:Re: [MASCHIGAY] Ricerca nazionalesulla salute di lesbiche, gay e bisessuali


Perchè questi signori ci interpellano soltanto per propinarci questionari per i quali hanno ricevuto finanziamenti pubblici e  non quando si tratta di eleggere direttamente i nostri rappresentanti,  di consultare i bilanci delle associazioni, di eliminare la tessera dei locali commerciali...... Perchè questi signori continuano a mangiare sulla nostra pelle ?
bye Antonio

blue_sky@libero.it ha scritto:

Quali rapresentati? non c'e ad oggi un partito gay quindi non vedo quali rapresentanti tu possa scegliere.
Se ti riferisci a Grillini in parlamento, allora il discorso vale anche per molti altri che stanno seduti là.
I bilanci delle associazioni, dipende se sono circoli ricreativi o circoli politici; se sono circoli ricretivi alla base ci sta comunque una società che non è tenuta ed arcigay stessa non puo obbligare a rendere pubblici i bilanci. Per i circoli politici ti basta essere socio di quel circolo e partecipare alle riunioni di bilancio.
Per far sparire la tessera bisogna prima cambiare la legislazione italiana in merito ai locali pubblici e privati.
I circoli e le associazioni non stanno in piedi sul solo volontariato dei soci ma hanno bisogno anche di altre entrate che non siano solo le tessere; prova a metterti a fare un circolo arci o non e vedrai.

"Modi di" è una ricerca necessaria propio per vedere quali sono i modi e le tendenze sessuali attuali, di modo da organizzare campagne di prevenzione piu mirate ed efficaci nei confronti di malattie sessualmente trasmissibili.

Saluti
Antonio


Caro Antonio,
scusami ma quando si risponde in questi termini, così come hai fatto tu, dovresti  farti riconoscere con nome e cognome come ha fatto il sottoscritto. Il mio nome ,Antonio Di Giacomo, non è affatto di fantasia, anzi ti invito a fare una ricerca a riguardo  su internet, o a chiedere a Grillini direttamente,  così ti accorgerai che un circolo (il Michelagniolo ) l'ho già aperto tanti anni fa. Conosco pertanto la normativa che prevede  molti  escamotage per le cosiddette associazioni ricreative, sportive e culturali di  evadere il fisco, alla faccia dei milioni dei contribuenti onesti del nostro Paese.  Quelli che tu chiami circoli ricreativi sono attività commerciali che lucrano ignobilmente  non soltanto sulla repressione degli omosessuali ma anche sulla loro salute. E il tutto avviene con la con-responsabilità morale dell'arcigay che gli offre copertura in cambio di tessere e costose affiliazioni. 

Ciononostante sono circoli senza scopo di lucro a tutti gli effetti e come tali sono tenuti alla pubblicazione dei bilanci, a far eleggere dai loro soci il direttivo ecc..Tutte regole che non applicano, proprio perchè, di fatto, si comportano come attività commerciali. Se ti informi, ti accorgerai, inoltre,  che il circolo Michelagniolo  denunciò nel 1993 Luigi Cerina per essersi impossessato dei nostri soldini destinati ai malati di aids.  Hai capito bene, un omosessuale e sieropositivo dichiarato, appoggiato da Grillini & C. che diceva di voler curare i nostri interessi ed invece si è fatto gli affaracci suoi ,facendolo , poi, nella maniera più schifosa possibile:  speculando sulla pelle dei nostri fratelli e sorelle. Cerina è stato condannato dalla Cassazione nel settembre del 2003  per truffa e peculato e  a risarcire il  Comune di Roma  di un  miliardo e ottocento milioni  delle vecchie lire. Cerina, che non era un rappresentante votato dalla comunità gay romana ma imposto dai partiti così come il suo successore Vanni Piccolo, fu il primo consigliere per i diritti civili delle persone omosessuali che ha avuto la Capitale nel 1993. Ora dopo tanti anni di stagnazione è arrivato il momento anche per  la comunità gay italiana di poter votare i propri rappresentanti chiamati  ad intereagire con le varie istituzioni.  Così come fa la comunità ebraica o come fanno a Roma  le varie comunità come quella cinese ,marocchina , filippina etc.  Chiaramente non mi sto riferendo ai   nostri parlamentari. Comunque mi auguro che non crederai,  che Grillini, Vendola o la De Simone siano stati eletti con i nostri voti. Mi riferisco, invece, ai vari presidenti  del circolo Mario Mieli  o dell'Arcigay o di qualsiasi altra associazione: tali signori non sono stati eletti direttamente da tutti o comunque dalla maggioranza degli omosessuali italiani,  ma soltanto da uno sparuto gruppo di persone  (i soci appunto) che mirano  soltanto a tutelare i propri interessi. Non è un caso che  questi signori si stanno ,per l'ennesima volta, scannando fra di loro  al Tavolo Permanente dei Diritti delle persone glbt istituito da Veltroni per accaparrarsi più potere possibile.  Tutto questo ,come immaginerai ,non può che portare un enorme danno alla nascita della comunità gay che per definizione è fatta di condivisione. Condivisione degli interessi  che un gruppo di persone hanno in comune. Solo così si riuscirà a  creare  l'appartenza al gruppo, "la coscienza del noi", condizione imprescindibile per la realizzazione di  una  vera comunità che è fondata non sulla contrapposizione degli interessi individuali ma sulla loro solidarietà. Per realizzare tutto ciò  bisogna cominciare a considerare le persone soggetto e non oggetto di diritto come invece si continua a fare. Con tutto quello che è successo e non mi riferisco soltanto allo scandalo  Cerina ma a tutta tangentopoli ,tu mi vieni ancora a dire che se voglio consultare un bilancio me lo devo andare a leggere nella sede del circolo o al tribunale che magari si trova dall'altra parte del Paese non è vero? E cioè di fatto mi stai rendendo difficoltoso se non addirittura impossibile la possibilità di esercitare un mio diritto, quello di essere informato.



L'ARCIGAY DA QUALCHE ANNO PUBBLICA
ONLINE IL PROPRIO BILANCIO
 
Lo sai che all'archivio Consoli dove ho lavorato per molti anni arrivavano puntuali i bilanci e i resoconti di tutte le maggiori associazioni gay straniere(ma non quelli di quelle italiane evidentemente ) senza che Consoli glieli avesse mai chiesti??? E che gli stessi erano e sono a disposizione di tutti i gay americani  soci e non e pubblicizzati ai massimi livelli? Tu hai mai visto pubblicato un bilancio dell'Arcigay su Babilonia o su Pride? L'hai mai visto pubblicato su internet come fa per esempio l'Arcigay di milano o Ngl? Eppure torno a ripetere, questi signori usano internet  soltanto  per informarci su  cose  anche magai irrilevanti ma non su quelle importanti  com'è  appunto la pubblicazione dei bilanci ? Se si ha veramente rispetto delle persone per le quali si dice di rappresentare i loro interessi, non puoi aspettare che sia una legge ad obbligarti ad  intraprendere determinate iniziative : le attui volontariamente. Hai il dovere morale di farlo. Un circolo Mario Mieli indagato nel 2001 dalla finanza per un'evasione fiscale milionaria,  doveva immediatamente rispondere a questa infamia pubblicando i bilanci su internet, su Aut e quant'altro e non far finta che non sia successo nulla. Aveva il dovere di informare tutti i membri della comunità gay italiana.  E questo a prescindere dall'esito delle indagini che a tutt'oggi rimangono un mistero.  Le associazioni che non hanno nulla da nascondere lo stanno già facendo.

venerdì 2 maggio 2014

FUNERALI DI DARIO BELLEZZA

 
Il 2 aprile 1996 si tennero a Roma  i  funerali -  sia religiosi che  laici -  del poeta Dario Bellezza. Le foto che compongono questo video sono state realizzate dal sottoscritto: vi prego non siate troppo critici nei confronti di questo povero  fotografo improvvisato. Invece l'articolo che segue e che ritrae perfettamente  Dario Bellezza è della grande Maria Latella.
 
 
 
 




Ieri a Roma i funerali. Ecco l' ultima chiacchierata con l' artista quando la morte era ormai vicina

" Io, Dario Bellezza, un vinto "

Un commosso doppio addio al poeta da amici e scrittori Franco Cordelli: " Dentro di se' era rimasto sempre ragazzo " Oggi ci sara ' la tumulazione al cimitero inglese

Ieri a Roma i funerali. Ecco l' ultima chiacchierata con l' artista quando la morte era ormai vicina TITOLO: "Io, Dario Bellezza, un vinto" Un commosso doppio addio al poeta da amici e scrittori Franco Cordelli: "Dentro di se' era rimasto sempre ragazzo" Oggi ci sara' la tumulazione al cimitero inglese - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - ROMA . Due cerimonie funebri, una religiosa e l' altra laica, per "un' anima contraddittoria", come gli amici hanno voluto ricordare Dario Bellezza. Prima il rito cattolico, nella basilica di Santa Maria in Trastevere, concluso con due semplici preghiere, quelle che Bellezza diceva ogni giorno negli ultimi tempi, recitate da don Vincenzo Paglia. E poi, l' omaggio laico in una chiesa sconsacrata, Santa Rita dei Poveri, una cappella che appartiene al Comune. Oggi, ci sara' la tumulazione, nel "cimitero degli inglesi", vicino alla Piramide, un luogo di sepoltura definito "acattolico". Nel corso della cerimonia laica, Bellezza e' stato ricordato da Gianni Borgna, assessore alla Cultura, da Franco Cordelli, Renato Minore, Renzo Paris. Cordelli ha detto che Bellezza e' morto "da figlio, come era vissuto, rimanendo sempre immutato, un ragazzo". Minore ha spiegato come Bellezza "sapeva portare con rabbia e con gioia il nome di poeta", in questa Italia che descriveva "grigia, plumbea, di massa, nemica dei poeti". Paris, infine, ha voluto raccontare "l' ultima beffa di Dario, quella di aver voluto a tutti i costi la Bacchelli, la legge che garantisce un vitalizio agli artisti, pur sapendo che stava morendo". A circondare la bara, sommersa dai fiori rossi del cuscino funebre della madre, c' erano tra gli altri, Barbara Alberti, Carlo Ripa di Meana, Alain Elkann, Elsa de Giorgi, Maria Luisa Spaziani. ------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ L' INTERVISTA TITOLO: "Elsa, Alberto, Pier Paolo... ho avuto vent' anni di felicita' " "Ero giovane e non capivo la grandezza dei miei cari amici" "Si' , litigavo con la Morante Non accettava il mio legame con Pasolini" - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - ROMA . Abbiamo parlato in cucina, mentre lui cercava di mandar giu' qualche pezzetto di mela lasciata in un piatto da Annamaria, amica e vicina di casa che lo accudiva con affetto discreto: "Ormai non riesco a mangiare nient' altro" diceva lui, scusandosi per il piatto sul tavolo, per la stanza in disordine. Succedeva qualche settimana fa, una mattina, nella sua casa di Trastevere. Dario Bellezza raccontava di se' , col pudore di un uomo non piu' abituato all' attenzione di estranei. Non riusciva ad accettare che della sua malattia si fosse saputo cosi' , attraverso un giornale. Non gli piaceva che di lui si tornasse a parlare per via della legge Bacchelli: "Non l' ho chiesta, ci sono amici che si danno da fare per me, io preferirei curarmi. Che ci faccio con la legge Bacchelli, me la daranno il giorno che muoio". Ed e' andata proprio cosi' . Gli faceva male una frase attribuita ad Aldo Busi: "Ha detto che non ho mai lavorato, che la legge Bacchelli dovrebbero darla a tutti quelli malati come me. Uno sciacallo". Busi, in seguito, cerco' di raccogliere fondi per lui, ma Bellezza, quel giorno, ancora non lo sapeva. Il registratore frusciava: "Non importa se poi non pubblicate niente" disse alla fine della chiacchierata. C' era, nel timbro della sua voce, il tono di chi e' sempre sul punto di dire: "Non si disturbi", quello stesso pudore che lo spinse, non molti giorni fa, a confidarsi con Adele Cambria, giornalista ed amica: "Mi piacerebbe essere sepolto nel cimitero del Testaccio". Il cimitero di Antonio Gramsci e del poeta Shelley. "Mi ci vorranno?". Parlavamo, in cucina, di cure per la sua malattia e di morti famosi. Soprattutto di questi ultimi, a dire il vero. Moravia, Elsa Morante, il poeta Sandro Penna, Pasolini. Rimpiangeva di aver sottovalutato la qualita' di quelle vite che si erano intrecciate alla sua: "Forse ero troppo giovane, troppo incosciente. Li ho considerati subito e soltanto amici, non mi rendevo conto della loro grandezza. Con Penna il rapporto e' stato lungo, bellissimo. Con Elsa e' stato difficile, aveva un caratteraccio. Per lei ho scritto due libri, Angelo e L' amore felice. Era innamorata di me ma io non potevo amarla come avrebbe voluto. Con gli anni ci separo' una barriera, credo sia arrivata ad odiarmi. "Quando l' ho conosciuta, nel ' 66, aveva 54 anni ma ne dichiarava molti di meno: io ne avevo venti. E durata fino al ' 76 e negli ultimi tempi non era piu' bello. E stata il piu' grande errore della mia giovinezza: io mi consideravo un suo pari, la trattavo non dico con brutalita' ma quasi, la criticavo... Che sbaglio. Era una donna e io mi innamoravo dei ragazzi, ma e' stata lei la mia storia d' amore piu' lunga e purtroppo me ne sono accorto dopo, soltanto quando e' morta. Moravia diceva sempre che il mio rapporto con Elsa era rovinato dall' orgoglio, ma una volta se ne usci' con un' osservazione che mi feri' molto perche' feriva lei: "Non vedi che e' una povera vecchia?". Ad Elsa Morante innamorata di un pittore tossicodipendente, Bellezza dedico' dei versi che parlavano di "ragazzi drogati, guardie del corpo dell' assoluto, vanno per il mondo mattutino fino alla sera della loro sopravvivenza". Anche Bellezza, molti anni dopo, ha amato un "tossico", forse per lui si era ammalato di Aids, parola che non pronuncio' mai, quella mattina. "Si' certo, credo di sapere come l' ho preso... ma alla fine non ne sono sicuro. Non ho mai voluto chiederlo a quella persona. Si' , mi sono sempre piaciuti i tipi un po' pericolosetti ma non fino al punto di morirne, no. Non come Pier Paolo. Pasolini poi aveva un altro tipo di erotismo". Pier Paolo Pasolini, raccontava Bellezza allontando da se' il piatto ancora pieno di mela, fu il primo a trovargli un lavoro: "Gli ho fatto da segretario, per tre anni, dal ' 69 in poi. Prima non avevo mai avuto una lira, campavo con le ripetizioni, le traduzioni. La mia era una famiglia modesta, mio padre era un vecchio comunista che non credeva in Dio. Capirai, lavorava in Vaticano: a un certo punto se ne ando' . Quando ho conosciuto Pasolini, vivevo da solo. Lui mi disse di occuparmi della sua posta, di correggergli i manoscritti per il cinema. Eravamo amici. Lo siamo rimasti fino alla fine, anche se non condividevo niente delle sue convinzioni, delle sue profezie. Pasolini voleva che l' Italia diventasse piu' povera, voleva un ritorno all' Italia degli anni Cinquanta. Mi diceva "Non capisci, il consumismo sta rovinando gli italiani" e io rispondevo: "Meglio il consumismo che morire di fame". Anche l' amicizia con Pasolini era motivo di lite tra Bellezza e Morante: "Non le piaceva che avessi questo ruolo precario di segretario, diceva che dovevo trovarmi un lavoro sicuro: "Chiedi a Moravia, e' l' unico che puo' davvero aiutarti". Ma Moravia non mi ha risolto nessun problema pratico, mai. Era un uomo divertente, mi sembrava gia' molto l' averlo per amico, che importa se non mi ha mai fatto pubblicare niente da Bompiani". E Dacia Maraini? "Affettuosa, pero' sentiva che io ero amico di Alberto, questa cosa non l' ha mai digerita". Un periodo bello, quando uno ha la fortuna di poterne ricordare uno, aiuta a star bene anche quando bene non si sta piu' . Bellezza ricordava senza compiacimento, recuperando quel godimento da poco che ancora gli era consentito provare: "Ho avuto vent' anni di felicita' , dai venti ai quaranta, il lavoro andava bene, non ero celebre ma ero conosciuto, avevo degli amori, facevo dei viaggi. Quando ho vinto il Premio Viareggio nel ' 76, con il libro Morte segreta, ho sperimentato una felicita' assoluta. Avevo soltanto 32 anni, ricordo che mi comprai una giacca nuova, scura, una bella giacca. Pensi che la tua vita cambi con un premio, e invece non succede nulla. Non ho saputo sfruttare la mia fama. Perche' ? Sono un vinto, sono sempre stato uno sconfitto". Della societa' letteraria, di una Roma piccola e ad alta densita' d' ingegni, Bellezza aveva conosciuto tutto, tutti. Pittori, da Franco Angeli a Mario Schifano, ricche dame, la cre' me degli intellettuali: "Con Arbasino, ricordo, ci vedevamo sempre a casa di Luisa Spagnoli. Non c' e' mai stata amicizia, forse non gli piaceva il mio modo di essere gay, non voleva essere coinvolto su quel piano, lui della sua omosessualita' ha fatto un argomento letterario". La vita sentimentale, prima di Elsa e dopo Elsa. "Dopo ci sono stati solo amori di ragazzi. Ma mi fa male pensarci". La politica: "Com' era bella, negli anni Sessanta, il Pci da una parte, la Dc dall' altra. Io ho paura del maggioritario, mi sembra un sistema fascista". Nessuno gli aveva ancora offerto di candidarsi con i Verdi della sua amica Marina Ripa di Meana, non si parlava ancora di elezioni, quella mattina a Trastevere. Chiacchieravamo da piu' di due ore. Sembrava stanco e aprendo la porta di casa disse che no, non si sentiva solo: "Vengono spesso a trovarmi Renato e Francesca Minore. Gli altri non mi mancano. "Rimpiango un' amicizia che poteva essere e non e' stata, quella con Federico Fellini. Poco prima che sapessi di essere malato l' avevo incontrato e lui, gentilissimo, voleva rivedermi. Per Federico mi e' come rimasto un rimorso, non l' ho mai chiamato. Ogni tanto mi capita di sognarlo. Sogno Fellini, come se fossimo stati amici".

Latella Maria

 



giovedì 1 maggio 2014

MARIO FORTUNATO: persino organizzazioni come l’arcigay e circolo mario mieli hanno iniziato ad aprire locali dotati di back room, dove non si pratica sesso sicuro”



Dopo Massimo Consoli e Dario Bellezza,  anche Mario Fortunato, con questo articolo apparso sul mensile Liberal nel 1995,  scese in campo contro le dark room gestite  anche dall'Arcigay e dal Mario Mieli. Un articolo rimasto pressoché sconosciuto alla maggioranza dei membri della comunità glbt del nostro Paese.





      UN ATTO DI ACCUSA ALLA COMUNITA’ GAY
 
CHIUDETE QUEI LOCALI  di amore e morte
 
   di MARIO FORTUNATO

 

MARIO FORTUNATO
 
Una premessa. Vorrei che questo articolo fosse letto come un preciso atto di accusa contro i media e in subordine contro il movimento gay di casa nostra. Il motivo è che in Italia, nel momento in cui la diffusione dell’Aids comincia ad assumere proporzioni terrificanti, i giornali e le televisioni hanno dimenticato il problema, mentre la comunità gay non appare più in grado di mobilitarsi efficacemente sul tema.

Succede un fatto strano. Anni addietro, più o meno sul finire dello scorso decennio, i media nazionali scoprirono l’Aids. La sindrome da immunodeficienza acquisita, che dilagava in maniera impressionante nel mondo occidentale e soprattutto negli Stati Uniti, era divenuta la regina delle notizie. Non passava un giorno senza che giornali e televisioni nazionali non riferissero un nuovo dato, senza che inchieste e servizi e testimonianze in proposito non fossero proposti all’attenzione e alla sensibilità dei lettori.

Ricordo in particolare un agosto di qualche anno fa. Forse perché nulla di significativo accadeva in politica, forse perché nessuna guerra in quel momento infiammava il pianeta, la campagna sull’Aids aveva militarmente occupato prime pagine e copertine. Si parlava, molti lo ricorderanno, di “nuova peste”, “la peste del secolo”, “la peste del duemila”, anche più spericolatamente “la peste degli omosessuali”…Si raccontavano episodi feroci, di ferocia e discriminazione, accaduti per lo più, oltre oceano. Ci fu perfino un giornalista di un settimanale, L’Europeo, che fingendosi sieropositivo se ne era andato per qualche giorno in giro a Roma e a Milano a verificare sulla propria pelle quali erano le reazioni più diffuse e comuni delle persone di fronte a un individuo colpito dal virus dell’Hiv. Stampa e televisioni a parte, anche le scuole sembravano giustamente sensibilizzate sul tema. Mentre perfino un ministro della Sanità come De Lorenzo sentiva il dovere di promuovere una campagna nazionale di informazione (dovere non disgiunto dal senso di opportunità, se è vero che su quella campagna lucrarono in molti).

Pure, in tanta mobilitazione, invocata e il più delle volte sostenuta dal movimento omosessuale italiano, colpivano i dati di diffusione della malattia. Che erano dati per fortuna modesti, in Italia. Così che, mentre negli Stati Uniti, in Germania, in Francia, in Inghilterra, la malattia mieteva vittime a un ritmo spaventoso (per qualche tempo, le telefonate e le lettere agli amici stranieri del sottoscritto sono arrivate a ridursi dei due terzi), in Italia per fortuna le cose andavano diversamente.

I più colpiti erano i tossicodipendenti. Seguivano gli omosessuali, gli eterosessuali, gli emofiliaci e via di seguito. I dati comunque, confrontati con quelli degli altri Paesi occidentali, erano tutto sommato confortanti. Del resto, riflettendoci adesso, anche i nostri pochi personaggi pubblici colpiti dal male (gli amici Pier Vittorio Tondelli e Giovanni Forti, altri i cui parenti preferiscono si taccia in proposito) erano in realtà persone con una spiccata esperienza di vita o professionale fuori dei confini nazionali. Il che lascia ragionevolmente pensare che il contagio sia avvenuto altrove.

 

Tutto bene, allora, sul fronte dell’Aids? Siamo rimasti un ‘isola compatibilmente felice? Neanche per idea. Lo dicevo prima: a distanza di una decina d’anni dal primo allarme, in Italia succede un fatto strano. Si tratta di un vero e proprio paradosso. Del rischio  Aids si parla ormai pochissimo. Certo, si dà notizia se qualche celebrità straniera annuncia al mondo la propria condizione. Si recensiscono con puntualità i libri o il film che raccontano la malattia (detto fra parentesi: nessun libro italiano, nessun film italiano). Si riferiscono i dati sulla diffusione della malattia, che l’Istituto superiore della  sanità elabora regolarmente. Ma, una volta lavata la coscienza, giornali e televisioni tacciono.

Così nessuno si è accorto che secondo gli ultimi dati sulla diffusione del male in Italia i casi di Aids sono cresciuti nell’ultimo anno in maniera esponenziale. Non basta. I dati dicono che la malattia si va diffondendo soprattutto fra le persone al di sotto dei venticinque anni e con nessuna esperienza di droga pesante. E che è per lo più nelle grandi aree urbane che il fenomeno trova la sua massima diffusione.

Eccoci dunque al paradosso. Fino a che il fenomeno Aids investiva gli altri Paesi occidentali, i media italiani, come sempre subalterni e provinciali, imitando i loro omologhi stranieri, sfornavano a ogni pie’ sospinto inchieste, reportage, informazioni sul tema. Ora che l’Italia sta conoscendo la tragica diffusione del male, che toccò anni fa a Stati Uniti, Germania e Francia, il silenzio in proposito è quasi totale. Dove sono le copertine tambureggianti? Dove le prime pagine? Dove i servizi e le inchieste televisive? I media nazionali tacciono. Colpevolmente, disgraziatamente, tacciono.

Silence=death, silenzio uguale morte, era lo slogan dei gruppi gay americani. Su quello slogan, e poi sul lavoro di artisti come Keith Haring e Jean Michel Basquiat, di scrittori come Edmund White, Hervé Guibert e Christophe Bourdin, di cineasti come Cyril Collard e Jonathan Demme, i movimenti omosessuali di mezzo mondo sono cresciuti e hanno rappresentato un po’ dovunque la punta più avanzata di ricerca, di informazione, di lotta contro l’Aids. Non lo stesso in Italia. La comunità omosessuale nazionale è infatti da questo punto di vista criminalmente arretrata incapace di riflettere e soprattutto di reagire al problema.

Tempo addietro, in città come New York, San Francisco, Berlino, Amsterdam e Parigi, un grande dibattito ha investito il mondo e la cultura gay. Era un dibattito che rimetteva in discussione alcune forme tipiche dell’esperienza omosessuale come il rifiuto della monogamia in favore della promiscuità. Il risultato di quel dibattito è stato assai semplice, concreto; a Parigi come a New York e a San Francisco, le abitudini di vita dei gay sono cambiate. Gran parte dei bar e dei locali che offrivano agli avventori una back room (una stanza buia, cioè, dove consumare subito e magari in gruppo un incontro sessuale) è stata chiusa. Dappertutto, comunque, distributori di condom e inviti manifesti al safe sex, al sesso sicuro. Sono letteralmente spariti dalla faccia della terra i cosiddetti bagni americani (cabine per la toilette sulle cui pareti era praticato un buco dentro cui far passare il pene). In generale, c’è stata una significativa scoperta della relazione stabile e della sfera sentimentale. E tutto ciò mentre le associazioni di sostegno medico e psicologico ai sieropositivi e agli ammalati si moltiplicavano, come si moltiplicavano le prese di coscienza sul tema delle unioni civili e dei diritti che ne conseguono.

In Italia, invece, niente di niente. Confidando nei numeri che , come dicevo, erano modesti fino a pochi anni fa, la comunità gay ha a poco a poco abbandonato il campo dell’impegno anti Aids. Preoccupati soltanto di non essere automaticamente associati alla malattia, gli omosessuali italiani hanno lasciato ai soli gruppi cattolici di base il terreno della solidarietà concreta. Inoltre nei bar e nelle discoteche omosessuali, perfino in quelle direttamente gestiti da organizzazioni culturali e politiche come l’Arcigay e il circolo Mario Mieli, hanno cominciato a comparire e ora abbondano back room e bagni americani, di modo che la promiscuità sessuale è de facto ancora un valore. Per il resto di condom si parla assai poco e, quanto al sostegno medico e psicologico degli ammalati, è stato da ultimo sostituito con sfilate di moda, esibizioni di soubrette e concorsi di bellezza. Naturale che, anche in ragione di tanta dissennatezza e di una così radicale mancanza d’informazione, la comunità gay italiana sia oggi  investita da un incremento di casi di sieropositività fino a ieri impensabile (è accaduto a chi scrive, tanto per fare un esempio, di contare una decina di casi certi, tutte persone sotto i ventotto anni, nel corso di un party romano con non più di quaranta ospiti).

Questa la situazione. Una stampa e un sistema di media così distante dalla realtà da essere ormai incapace di raccontare le cose se non per imitazione di quanto fanno giornali e televisioni stranieri. Una comunità omosessuale incosciente e priva di una cultura propria. Se a questi due elementi già gravissimi si aggiungono lo sfascio non nuovo della scuola, la situazione drammatica di gran parte delle strutture ospedaliere pubbliche e infine il blocco per motivi burocratici assurdi della nuova campagna anti Aids promossa dall’attuale ministro della Sanità, si capisce come il problema sia destinato ad assumere forme e proporzioni incalcolabili. Altro che “peste degli omosessuali e dei tossicodipendenti”. Il problema riguarderà sempre più i ragazzi italiani, etero e omosessuali che siano, abbandonati al loro destino da un sistema informativo e di prevenzione a dir poco scellerato. Un sistema in cui tutti, Stato e alte gerarchie vaticane, media e organizzazioni gay, hanno fin qui tenuto un comportamento che non esiterei a definire, nero su bianco, criminale.

Ho detto in principio che questo articolo domandava di essere letto come un atto di accusa soprattutto contro il silenzio dei media e in subordine contro la caduta di tensione del movimento gay. Un atto di accusa per solito nasce da un sentimento di indignazione intellettuale, o da una rivolta morale. Nel caso di chi scrive, anche se potrà sembrare inelegante dirlo apertamente, è nato da un altro sentimento: il dolore personale, insopportabile, per la scomparsa o per la malattia di tanti, giovani amici stritolati dall’ignoranza e dalla disinformazione. L’idea forse era ingenua: custodiva però la speranza che all’accusa non dovesse seguire altro dolore.