sabato 29 agosto 2015

MASSIMO CONSOLI : avrei voluto donare il mio archivio al circolo romano Mario Mieli, ma tutti possono capire perché poi non l’ho fatto.


INTERNATIONAL GAY HISTORY ARCHIVES

New York  1981-1996

 

 

New York.  Fondato da Bruce Eves e Hohn Hammond, deriva da una collezione di opuscoli e libri che costituiscono un progetto di storia gay per una biblioteca originariamente dagli scopi più ampi. La biblioteca era collegata alla libreria W.W.3, di New York, fin dal 1975, ed era stata creata da Suber Corley, Bruce Eves (Direttore), il sottoscritto Amerigo Marras (Fondatore), e Paul Mc Lelland. Tutti venivano (venivamo) da Toronto, in Canada. L’idea iniziale era di raccogliere solo informazioni correnti, in quanto storia nel momento della nascita dei conflitti sociali e delle lotte politiche per i diritti umani.

L’Archivio Internazionale venne costituito più tardi fu gay nel contenuto, ma più ambizioso negli scopi, comprendendo schedari storici e per autori o organizzazioni. Il suo modello fu lo straordinario Gay Archive di Toronto, ben utilizzato e utile per la sua funzione politica di attiva conservazione della storia della popolazione gay in quella città.

La prima consistente donazione di materiali fu il lascito dei documenti della Gay Activists Alliance, allora sul punto di sciogliersi. Bruce Eves divenne l’ultimo grafico dell’ultimo numero del loro giornale. In seguito, arrivarono gli archivi privati di Arthur Bell, che era stato il primo giornalista ad essere assunto come gay reporter da un periodico dell’establishment editoriale americano (“The Village Voice”).Altri autori si fecero avanti, come Jonathan Katz (“Gay American History”), che fece dono del manoscritto del suo fondamentale libro. Dopo il 1983 gli archivi si trasferirono da Manhattan a Brooklyn, senza mai ricevere finanziamenti pubblici e senza che sembrasse possibile che due persone riuscissero a farli funzionare in maniera efficiente e a tempo pieno. Nel 1988 una metà venne ceduta alla New York Public Library, e più di recente l’altra metà è entrata a far parte del patrimonio del Gay and Lesbian Community Services Center. Uno storico gay come Massimo Consoli (che io ho cercato, inutilmente, di convincere), ne sarebbe stato il Direttore ideale, qui a New York.

 

 

 

 

ARCHIVIO MASSIMO CONSOLI

Roma  1959 – 1996

 

 

PIU’ DI UN DOCUMENTO OLOGRAFO

 

Mi dispiace molto che l’Archivio Internazionale di Storia Gay non sia più nelle mani dei suoi fondatori. Mi dispiace molto, e per due motivi. Il primo è che sono da lungo tempo attento osservatore delle sconfitte e delle vittorie riportate dal movimento gay, dalla comunità e dai singoli individui che intraprendono delle iniziative. Purtroppo, le vittorie sono poche, mentre le sconfitte sembrano accumularsi senza soluzione di continuità. Ogni volta che il fax non riceve più l’ultimo numero della nostra agenzia, o il postino ci restituisce la corrispondenza che avevamo spedito perché il destinatario ha cessato le attività, in redazione l’atmosfera diventa cupa. Ma non crederò mai a quanto sosteneva Donald Webster Cory, celebratissimo autore di “The Homosexual in America” che in un libro molto meno conosciuto (“Odd Man In”, 1969), proclamava che i gay erano profondamente disturbati ed incapaci di formare organizzazioni durevoli nel tempo. La realtà è ben diversa e, semmai, più complessa. La situazione sociale e legale nella quale vive l’omosessuale gli impedisce o gli rende difficile il mantenimento di organismi e strutture che non riescono a godere dei vantaggi considerati normali per chiunque altro. In compenso, sono costretti a subire tutte le difficoltà delle organizzazioni ai limiti della legalità o, in certi paesi, considerati del tutto illegali.

In queste condizioni c’è ben poco da sperare. Bruce Eves e John Hammond hanno salvato il loro archivio privandosene. Cedendolo a due organismi uno dei quali, la New York Public Library, fa parte del sistema ed al sistema stesso è funzionale. L’Archivio Internazionale di Storia Gay, ormai, è gay solo nel contenuto, ma non più nelle strutture (e negli scopi), con tutto ciò che di negativo una tale situazione può comportare. Il secondo motivo di dolore è nei miei problemi di identificazione. Anch’io ho fondato un archivio e sono quasi quarant’anni che lotto per la sua sopravvivenza. Devo quotidianamente vincere la tentazione di abbandonare tutto e di accettare incarichi più socialmente integrati (e meglio retribuiti) in Italia e all’estero, per il solo piacere di averlo con me, di viverci dentro, di arricchirlo giorno dopo giorno di un altro libro introvabile, di un numero di un periodico che mi permetta di rilegare un’intera annata, di una lettera di un ricercatore all’affannosa ricerca della soluzione ad un problema al quale io posso contribuire in dieci minuti. E poi, devo sostenere gli attacchi degli jettatori di professione che, sempre più spesso con l’avanzare degli anni, si preoccupano della mia salute esclusivamente in funzione dell’archivio.

“Hai deciso a chi lasciarlo?”, mi chiedono insistentemente al primo colpo di insolita tosse, o alla prima lamentela di stanchezza. Oppure, “Che ne sarà di tutte queste raccolte quando tu non ci sarai più?”

No. Non ho ancora deciso a chi lasciarlo.

L’avrei voluto donare al Comune di Roma. Poi, nel 1980 l’amministrazione capitolina (leggi, PCI), mi mise in una situazione tale da costringermi ad accettare un invito che veniva da New York, dove rimasi cinque anni. L’avrei voluto donare alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II, poi ho visto che è quasi impossibile potervi consultare certi libri…

L’avrei voluto donare allo stesso IGHA di New York, ma la loro mancanza di una sede stabile e delle necessarie strutture organizzative mi fece desistere fin da allora. L’avrei voluto donare al circolo romano Mario Mieli, ma tutti possono capire perché poi non l’ho fatto.

L’avrei voluto lasciare a Gheddafi per una certa somiglianza caratteriale che ci accomuna. Infatti, se come dicono in molti, sono stato un pazzo a spendere una fortuna in libri, opuscoli, giornali, cartoline, manifesti, spille e oggetti vari legati alla cultura gay, chi meglio di un altro pazzo (con in più i vantaggi del potere) avrebbe potuto amministrare questo capitale?

A New York, ricoverato in un letto d’ospedale per un’infezione contratta in Africa, e sentendomi prossimo a morire dopo una notte di inarrestabile diarrea, chiesi carta e penna per fare testamento a favore di Felix Cossolo, un militante della seconda generazione che, all’epoca, sembrava molto ben intenzionato..

Grazie al cielo(!) sono vivo ed in buona salute (almeno sembra!), con l’intenzione di seppellire tutti gli amici così preoccupati delle mie condizioni fisiche…

L’avevo perfino messo in vendita, il mio archivio, come un principe innamorato decide di vendere lo schiavo favorito che lo fa tanto soffrire. L’ho messo in vendita per una cifra folle: cento milioni. Grazie al cielo(!!), nessuno si è fatto avanti, ignorando che nei soli Stati Uniti ne ho spesi centottanta, di milioni! Però, è dura andare avanti. Per mancanza di spazio, i libri non seguono più quello che una volta era un perfetto ordine logico, ed è oramai un problema rintracciare “Die Homosexualitaet”, di Magnus Hirschfeld, che proprio recentemente avevo intravisto tra “L’omosessualità negli animali”, di Giorgio Celli, ed una ventina di annate rilegate di “Arcadie” (che, tra l’altro, non riesco più a trovare!).

Del resto, perché dopo aver penato tutta una vita andando da Roma ad Amsterdam in autostop, da Forlì a Lugo di Romagna a piedi, da Bruxelles a Parigi in treno, da New York a Boston e da San Francisco a Los Angeles in aereo, dalla Danimarca alla Svezia in traghetto..per rintracciare libri creduti persi o cartoline rare o giornali introvabili..perché dovrei donare tutto quello che ho raccolto mentre i miei amici (e i miei nemici) facevano gli stessi percorsi, ma con ben altre intenzioni? Perché sono costretto a vivere in castità da otto anni (maggio del lontano 1988..), visto che mi è impossibile perdere tempo in rapporti sessuali o relazioni che mi impedirebbero di scrivere, di studiare, di accumulare oggetti e documenti?

No. Credo proprio che mi farò seppellire, nel mio giardino, in una piramide con tutto il mio archivio, per non soffrire di noia nell’infinito di nostra Madre la Terra.

MASSIMO CONSOLI
1996