lunedì 18 aprile 2016

 
 
 
Quella che segue è la situazione dell'archivio Massimo Consoli a tutto il 1994 così com'è documentata dal poster che lo stesso Consoli prepara in occasione della partecipazione alla  conferenza "AIDS STRATEGIE DI INFORMAZIONE E PROBLEMI DI DISINFORMAZIONE - QUALE SESSUALITA' " tenutasi a Napoli il 2-3 dicembre 1994 presso il Dipartimento di Sociologia "Gino Germani" dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II"
 
 
di Massimo Consoli
 
 
 
poster dell'archivio massimo consoli presentato durante la conferenza AIDS STRATEGIE DI INFORMAZIONE E PROBLEMI DI DISINFORMAZIONE A NAPOLI IL 2-3 DICEMBRE 1994 PRESSO L'UNIVERSITA' FEDERICO II
 

 
L'ARCHIVIO Massimo Consoli condensa, oggi, la storia e l'attività di numerose organizzazioni, gruppi e iniziative che hanno avuto una origine ed uno sviluppo unitari tra il 1959 ed il 1963 e sono continuate fino ad oggi avendo come principale (ma non unico) portavoce, il mensile OMPO. In questo poster, tuttavia, faremo esclusivo riferimento a ciò che riguarda la sindrome da immunodeficienza acquisita.
 
1976, 28 febbraio: presso l'Associazione OMPO'S apre il primo consultorio medico-sociale in Italia, riservato alla comunità gay, in seguito alla constatazione empirica (poi suffragata da dati) di un aumento delle malattie veneree (oggi definite "sessualmente trasmesse") al suo interno. L'iniziativa non riceve alcun sostegno da parte delle pubbliche autorità. Ogni richiesta di intervento o, almeno, di essere ricevuti, viene accolta con scherno, ironia e sorpresa.
1981, dicembre: Il mensile OMPO, primo in Italia, parla di un nuovo male in arrivo dall'America, coniando l'espressione "peste del XX secolo". L'avvertimento viene preso con ironia e accuse di esagerazione e allarmismo.
1982/84: Il mensile OMPO, diffonde in Italia un gran numero di informazioni sull'aids attraverso la pubblicazione di articoli originali americani o di traduzioni. Nell'83 si cerca un contatto con il Comune di Roma che viene respinto perché reputato "non urgente e non pertinente".
1984,26 settembre: Si rinnova la richiesta al Sindaco, al Presidente della Repubblica, al Papa, nella speranza di sensibilizzare un'opinione pubblica passiva e indifferente. Si insiste sul concetto che "il silenzio di oggi porterà migliaia di morti domani", continuando a ricevere risposte ironiche e apprezzamenti poco seri. Intanto, la stampa italiana comincia ad interessarsi all'argomento dimostrando di non possedere alcuna fonte seria e distribuendo una disinformazione altamente pericolosa.
1984/5: Il mensile OMPO si trasforma nel primo bollettino (al mondo) di informazioni relative all'aids e viene spedito gratuitamente alla stampa italiana, ai medici e ricercatori interessati, alle comunità di recupero dei tossicodipendenti. Le autorità neanche se ne accorgono anche se, nel corso degli anni, attraverso le sue tre pubblicazioni (OMPO, RGN e Sabazio), l'Archivio diffonderà centinaia e centinaia di articoli e informazioni che, in buona parte, verranno ripresi dalla stampa del nostro Paese.
1985,21 febbraio: Su una emittente radiofonica romana ha inizio un esperimento unico al mondo: una trasmissione settimanale (durerà quasi due anni) dedicata all'aids che ha un successo di ascolto straordinario. Al primo appuntamento interviene il professor Ferdinando Aiuti, al quale seguirà il giornalista del Messaggero Luciano Ragno (autore di due libri sull'Aids), lo scrittore Dario Bellezza, e cosi via.
1985,luglio: Viene pubblicato il primo di una serie di opuscoletti tradotti dall'inglese: "Quando il tuo amico ha l'aids (poi ritradotto e riproposto da decine di organizzazioni in tutta Italia), al quale faranno seguito: "HTLV-III/LAV: Che cos'è ?, Direttive per il Controllo dell'Infezione Relative al Personale Medico e Paramedico", HTLV-III/LAV e gli Anticorpi: Test o Non Test?, "Aids, L'approccio Inglese", "Rapporto del Surgeon General degli Stati Uniti". A tutt'oggi è sempre l'OMPO, in quanto portavoce ufficiale dell'Archivio, l'unico periodico del nostro Paese che pubblica opuscoli in lingua straniera dedicati alle comunità di lavoratori presenti nel nostro Paese: in arabo (ottobre 1989), cinese (marzo 1990), turco (maggio 1990), spagnolo (luglio 1990), portoghese (agosto 1990), tedesco (settembre 1990), greco (luglio 1993), serbo croato (agosto 1993).
1988, 29 gennaio: Apre la mostra "Aids, Le pesti parallele" a Roma. Nel corso degli anni girerà dalla Calabria alla Toscana, dalla Campania alla Sicilia e al Lazio, esposta più e più volte anche all'aperto o nel corso di manifestazioni popolari e conferenze.
1988:Viene finalmente pubblicato il primo dramma italiano su aids, emigrazione, emarginazione e tossicodipendenza, "Ali. Tragedia degli Incontri!, che in poco tempo raggiungerà le quattro edizioni.
1989,maggio: Esce un documento importante dedicato ai mass media: "Giornalisti, Ancora uno sforzo!", nel quale vengono corretti i numerosi errori che continuano a stravolgere la conoscenza dell'aids: errori concettuali, di pronuncia, di ortografia..."come si pronuncia aids?", come si definisce la persona ammalata?, " e quella sieropositiva?"...L'opuscolo ha un notevole successo, anche perché viene distribuito e spiegato ai giornalisti italiani presenti alla Conferenza di Montreal, che lo interiorizzano e lo diffondono inconsciamente attraverso le loro corrispondenze.
1989, giugno-luglio: L'archivio cura la pubblicazione in Italiano, inglese, francese e spagnolo del "Manifesto di Montreal" , la dichiarazione dei Diritti Universali e dei Bisogni delle Persone che Vivono con la Malattia da Hiv.
1990, ottobre: Viene pubblicata la"Tavola delle Legislazioni sulla Circolazione di Persone con il Virus Hiv" che mostra come, dei 59 Paesi più importanti del mondo sui quali è stato possibile raccogliere informazioni relative ai controlli sierologici anti-hiv, ben 49 applicano delle misure restrittive più o meno gravi.
1991: Viene attivato il servizio informazioni rapide che garantisce, per telefono, la possibilità di avere notizie su tutte le cure, i trattamenti e i farmaci in corso di sperimentazione in tutto il mondo, nell'arco di una giornata.
1992: Entra in funzione l'archivio computerizzato delle vittime che, oggi, comprende circa duemila nominativi, di persone morte per complicazioni dovute all'aids. E' un elenco straordinario di scrittori, designer, registi, coreografi, politici, ballerini, militanti, attori, filosofi...di tutto il mondo che denuncia, meglio di qualsiasi commento, l'ampiezza di una tragedia che ha tolto al nostro secolo una cosi straordinaria parte della proprio cultura.
1993: Viene prodotto e pubblicato (con la"Kaos edizioni" di Milano) il libro "Killer Aids", una singolare storia dell'epidemia attraverso circa duecento biografie delle sue vittime più illustri.
1993,12 maggio: Esce "Sulle Dark Rooms", un documento impressionante che denuncia la responsabilità dei sex-clubs nella diffusione dell'epidemia. E' un momento difficile, perché questi locali hanno cominciato a diffondersi in tutto il Paese e c'è contrasto nella loro valutazione da parte delle stesse vittime dell'aids.
1994,ottobre: Pubblicazione della "Funzione dei Gruppi Sociali nella percezione della Malattia", nel Libro Italiano dell'Aids" (McGraw-Hill)
 
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OGGI, L'archivio comprende:
Libri e opuscoli: ce ne sono  oltre 5.000 (più di 700 sull'aids), 1900 libri sono in lingua inglese.
Giornali: Oltre 8.000 pubblicazioni diverse.
Ritagli di giornali:Circa 5.000 sono quelli sull'Aids, più altri 20.000 inseriti nelle varie pubblicazioni.
Cartoline: Oltre 1000. Un centinaio quelle sull'aids.
Spille: Circa 30 quelle dedicate all'aids.
Manifesti: 1 poster  sull'aids, provenienti da mezzo mondo, sono oltre 500.
Volantini: circa 2000
Foto: circa 6000
Oggettistica: Condom, poggiabicchieri, fischietti, portachiavi, statuine, gadgets vari, cassette audio e video.
 
 

 
L'Archivio fornisce informazioni, materiali vivi, foto e indirizzi ai massa media italiani e stranieri, alle persone sieropositive o con aids avendo costantemente a disposizione le ultime novità in fatto di cure alternative o della medicina allopatica. Oggi, l'Archivio Massimo Consoli è la raccolta di materiali giornalistici e informativi privata sull'aids più grande al mondo. Ed è il gruppo che vi lavora ad aver diffuso in Italia, con assoluta priorità su chiunque altro, anche la conoscenza del volontariato aids, del !Quilt" (la trapunta delle vittime dell'aids), di Act Up", delle cure alternative (e olistiche)..
 
 
E 'importante sottolineare come, ciononostante, l'Archivio non abbia mai, in nessuna occasione e per nessun motivo, ricevuto una sola lira di finanziamento da parte di una qualsiasi istituzione pubblica, finanziandosi sempre con i soldi dei propri volontari, accumulando debiti enormi ed essendo costretto, oggi , a limitare fortemente la propria attività e capacità di intervento.


UN ARCHIVIO GAY INFORMATIZZATO : IL SOGNO DI CONSOLI CHE A TUTT'OGGI NON SI E' REALIZZATO


 
 
 
Quello che segue è un articolo di Massimo Consoli che annunciava la nascita di un grande archivio gay telematico che invece a tutt'oggi  - e cioè a nove anni dalla morte del suo ideatore - non è stato ancora realizzato. Sollecitiamo in tal senso l'archivio centrale di Stato che dal 2001 ha acquisito "l'archivio Massimo Consoli" ad aprirlo al pubblico ed a  informatizzarlo al più presto possibile. Noi, nel frattempo, stiamo facendo la stessa cosa con il nostro materiale  accumulato soprattutto negli anni 90 riguardante per lo più la realtà gay  romana di quegli anni.
 
 
Sbarca nella rete telematica l’archivio storico di Massimo Consoli pubblicazioni e informazioni utili sulla cultura omosessuale e sull’Aids. Il consigliere Vanni Piccolo: “E’ un modo per uscire allo scoperto”.

 

 INTERNET NAVIGA CONTROCORRENTE

  di Antonella Piperno

 

I gay romani sbarcano su Internet.

Niente siti a luci rosse, ma un serio progetto telematico che punta a far navigare la cultura omosessuale. “Viviamo nel villaggio globale, dobbiamo adeguarci”, fa sapere Massimo Consoli, fondatore del movimento gay italiano, che ha trasferito il suo archivio storico in rete, all’indirizzo http: // www.publibyte.it/promo/consoli. Primo documento trasmesso, il discorso pronunciato dal sindaco Rutelli nel corso della commemorazi”. come saranno bilingue tutti i testi dell’archivio telematico. In rete ci saranno i cinquemila volumi e le decine di migliaia di pubblicazioni sulla cultura gay e sull’Aids che Consoli raccoglie a Frattocchie dal 1959 e che la Soprintendenza archivistica per il Lazio ha recentemente riconosciuto come “fonte indispensabile per la storia non solo sociale ma anche sanitaria dell’Italia contemporanea”.

“Il nostro sito su Internet – spiega Consoli – si offre ai gay romani ma anche a singoli, associazioni e organizzazione che hanno bisogno di informazioni sulla cultura omosessuale Non a caso giorni fa si è fatto vivo il museo storico della liberazione di via Tasso che chiedeva notizie sulla persecuzione dei gay durante il nazismo. Ma su Internet ci sarà spazio anche per le notizie utili (come la prevenzione per l’Aids) e per quelle divertenti, come il calendario gay: una serie di notizie, a sfondo omosessuale, riguardanti il personaggio del giorno.

Si scopre così che il 2 aprile del 1725 “nasce Giacomo Casanova: l’uomo il cui nome, in molte lingue, è oggi il simbolo dell’amante per antonomasia, all’epoca ebbe numerose avventure anche con i ragazzi”, E che il 2 aprile del 1875 viene alla luce invece Hans Christian Anderson che “se non avesse amato i ragazzini non avrebbe mai scritto “la Sirenetta” e “il Brutto anatroccolo”: il suio giovane amico Edvard Collin lo fece soffrire molto non ricambiandone i sentimenti”.

E le altre coppie?

Il nuovo sito Internet piace anche a Vanni Piccolo, “consigliere del sindaco per i diritti civili delle persone omosessuali: “E’ una documentazione preziosa, non solo per gli omosessuali – spiega – e poi costituisce un elemento di forza nella nostra battaglia culturale”. Piccolo, che da tre anni si dà da fare in Campidoglio, lamenta una scarsa partecipazione della comunità gay: “Sono pochi quelli che escono allo scoperto – spiega – basti pensare che i gay visibili nella capitale sono poche decine di migliaia. Tutti gli altri si nascondono, e questo impedisce a proposte di legge come quella delle unioni civili di decollare. E’ vero che quella è una battaglia politica, ma se le coppie di gay si presentassero a Montecitorio, se si cominciasse a scendere in piazza, allora sì che la musica cambierebbe”.

 

 

 


 

ARRIVA IL NUMERO VERDE

 

Vanni Piccolo, consigliere del sindaco per i diritti delle persone omosessuali ha un grande cruccio: non essere ancora riuscito a frenare la catena di omicidi gay che sta colpendo la capitale, “E’ un fatto inquietante. Intanto però, dopo l’omicidio del critico teatrale Dante Cappelletti, abbiamo ottenuto di far riattivare il numero verde della questura per denunciare violenze o lasciare testimonianze”, informa Piccolo. Il nuovo numero, che verrà presentato ufficialmente nei prossimi giorni, sarà accompagnato da una campagna di sensibilizzazione contro la violenza omosessuale. “Un numero verde già esisteva – spiega Piccolo -  ma era stato disattivato perché non veniva utilizzato. La gente ha molta paura di parlare, e per questo il nuovo centralino darà anche la possibilità di lasciare testimonianze non dirette, del tipo “ho visto un tipo sospetto che usciva da una certa casa”.

Ma a che cosa è dovuta la serie degli omicidi gay della capitale? “All’imprudenza – spiega il consigliere – ma anche alla solitudine di tanti anziani che non riuscendo a trovare soluzioni limpide per vivere la loro sessualità si rivolgono a prostituti che tali non sono. Ecco, anche questo è un vero nodo da risolvere: si dovrebbe mettere ordine nel mondo della prostituzione maschile. Purtroppo, oggi molti gay si rifiutano di vedere problemi e pericoli, accontentandosi della libertà che deriva dal poter frequentare liberamente i locali gay”.

 

 

“VIA BELLEZZA”

 

Il sindaco di Roma Francesco Rutelli si è detto favorevole ad intitolare una strada a Dario Bellezza, il poeta omosessuale morto un anno fa di Aids. Massimo Consoli, il leader della comunità gay romana e il circolo Michelagniolo hanno avanzato  la proposta durante la commemorazione del poeta scomparso a 52 anni, il 31 marzo del ’96. E Rutelli si è impegnato a chiedere alla commissione competente in Campidoglio di accogliere la richiesta. “Non so se sarà possibile dedicargli una targa stradale, ma credo che sarebbe cosa giusta  - ha detto Rutelli – pensate che non siamo riusciti ancora a intitolare una strada a Fellini, e questo perché ci è stato impedito di dedicargli un pezzetto del Lungotevere. E stiamo battagliando per trovargli un’altra sistemazione.

Per il Circolo Michelagniolo, un “viale Bellezza”, potrebbe sorgere all’interno del Parco Pasolini che è in fase di progettazione ad Ostia. Consoli invece vorrebbe realizzarla a Marino sulla strada di accesso al suo archivio: “E’ giusto dedicargli una via, al di là dell’ovvia grandezza culturale del personaggio, per lo stretto rapporto che Bellezza aveva con questa località, dove era venuto innumerevoli volte”.

 

 

QUIROMA   2 APRILE 1997

martedì 12 aprile 2016

Una delle tante iniziative "originali" e a costo zero di Massimo Consoli che fecero parlare di lui su tutti i giornali. Mentre gli altri, come se dice a Roma, c'annavano in puzza!!

 
 
Quella che segue è una delle tante iniziative "originali" e a costo zero  di Massimo Consoli che fecero parlare di lui su tutti i giornali. Mentre gli altri suoi "concorrenti", che non riuscivano ad uscire sui giornali in egual misura, come se dice a Roma...c'annavano in puzza!!
 
 
 
 
 

IL SANTINO DEL BEATO PIER PAOLO PASOLINI
DISEGNATO DA ENRICO VERDE
Nel quadro delle numerose iniziative volte alla creazione di una coscienza comunitaria, al recupero delle nostre tradizioni e della nostra cultura, alla riscoperta dei nostri padri e del loro enorme impatto morale sulla società, il settimanale Rome Gay New comunica l'avventura beatificazione dello scrittore e poeta  Pier Paolo Pasolini il cui tradizionale santino verrà pubblicato sul prossimo numero del giornale. Le beatificazioni precedenti comprendono Leonardo da Vinci (su RGN del 23 marzo), e Harry Hay (20 aprile). La dicitura che accompagna il santino è la seguente:

                                                                                   "Beato Pier Paolo Pasolini, Puro e Magnifico Protomartire della Chiesa di Sabazio. Nacque a Bologna il 5 marzo 1922. La sua vita fu una continua esaltazione dell'ideale umano-umanitario in contrapposizione all'ideologia monoteistica antropo-accentratrice. Lottò aspramente contro l'etero-stupidità dei suoi consimili che vivevano nel peccato delle scritture, imponendosi sacrifici inenarrabili.
 
LA PERGAMENA DEL BEATO PIER PAOLO PASOLINI
PROTOMARTIRE
DELLA CHIESA DI SABAZIO
                        Amò moltissimo i disperati della terra da uno dei quali (un collaborazionista) finì massacrato la notte dei morti del 2 novembre 1975. Patì il martirio. Il Beato Pier Paolo Pasolini protegge contro la violenza,  i ladri, le difficoltà finanziarie, aiuta negli esami scolastici, favorisce le attività culturali, tiene lontani gli etero-cacacazzi e le donne invadenti. Porta bene pregarlo prima di cominciare una nuova impresa particolarmente importante".
 
 
 


CARLA PILOLLI: UN VOSTRO PARLAMENTARE GAY MI HA CHIAMATO SDEGNATO PER QUELLO CHE AVEVO SCRITTO SU MUCCASSASSINA


UN RICORDO DI CARLA PILOLLI

Dopo aver letto l'articolo che qui di seguito vi ripropongo, chiamai all'epoca  (siamo nel 1992) Carla Pilolli al Messaggero per congratularmi per sua solita arguta e pungente fotografia in bianco e nero che aveva fatto in merito alla  serata passata all'ex Mattatoio insieme a Memé Perlini.
La ringrazio, mi disse, ma invece devo dirle che ho ricevuto un'altra telefonata di sdegno, da parte di un vostro parlamentare  gay di cui non posso fare il nome...lei capisce.  E chi sarà stato questo onorevole gay?




In duemila venerdì sera negli spazi di “Muccassassina”, all’ex Mattatoio. Scene da “mille e una notte” e anche di più.

LA TRASGRESSIONE AD OGNI COSTO NEI RECINTI DEL VILLAGGIO GLOBALE



di  Carla Pilolli

 

IL LOCALE LEGATO AL CIRCOLO DI CULTURA OMOSESSUALE MARIO MIELI. LE SCOPERTE DELLA ROMA MONDANA GUIDATA DA MEME’ PERLINI

 

Se non si vede, non si crede. Altro che i party newyorkesi di Madonna dove trionfa il “proibito”. La Capitale in fatto di feste trasgressive, ora lo sappiamo, non è seconda a nessuno. Basta scoprirlo! Uscire di notte dal dedalo delle scritte luminose per infilarsi in un tratto scuro della Via Ostiense, in un  edificio enorme che scorre per centinaia di metri, proprio dietro all’ex Mattatoio. “E là ne vedrete di tutti i colori”, aveva promesso Roberto D’Agostino, durante il grande cocktail all’Hotel Hassler per festeggiare, venerdi sera, l’arrivo a Roma del “Museo Immaginario”. Sì, l’esposizione dei falsi d’autore. Quadri di grandi pittori bellamente imitati che avevano richiamato il giro, da Marina Ripa di Meana, a Corinne Clery fino a Debora Caprioglio.

Fu quando D’Agostino parlò di “Mucca Assassina”, il nome che è un po’ il comune denominatore di queste feste trasgressive che vengono appunto celebrate al “Villaggio Globale”, che la curiosità di taluni mondani si risvegliò del tutto.

Cessarono di botto le chiacchiere, che so, su Kashoggi che aspetta un figlio dalla ultima moglie Shapari. Ci fu pure una pausa negli acquisti dei dipinti, dei Renoir e dei Sironi fasulli da quattro milioni, che la elegante Alma Bonomi, il sempreverde, Emilio de Cesare e il finanziere-novità Claudio Palazzolo, amico di Massimo Gargia e venuto a Londra, avevano deciso di mettersi in casa, per “beffare” semmai i ladri.

“Hai sentito che nome! La Mucca Assassina! E’ tutto un programma!”, commentò la bella Inge Dentice che spalancò gli occhi cerulei, sentendo che la festa organizzata quella sera dalla “Muccassassina” (si scrive tutto attaccato), per celebrare “La notte di Halloween”, alias “La notte delle streghe”, era intitolata “Vaccaboia”…

Chiaro che per partecipare ad un evento del genere, bisognava  prima corroborarsi col cibo. “Andiamo prima a mangiare in Trastevere a “L’ultima follia” per essere in tema”,propose qualcuno, tirando dentro nel gruppo, oltre la splendida Selvaggia Scheggi che voleva festeggiare i suoi vent’anni e poi (come ha fatto) andarsene a letto, anche quel simpaticone di Memé Perlini che era avvolto in un impermeabilone di disastro ecologico. E fu Memé che venne mandato avanti, come una sorta di garanzia, essendo lui un “volto conosciuto” (e perciò inviolabile), quando, arrivando al Villaggio Globale”, ci si rese subito conto che era superiore a qualsiasi attesa.

 

 
la trasgressione ad ogni costo nei recinti del Villaggio Globale
 

Un brulicare di giovani fin dall’ingresso, costumati nelle più diverse maniere, con giubbotti antiproiettile e sotto niente camicia, ma solo tatuaggi, farfallone en travesti con polpacci da lottatore sotto le calze a rete, faccette di gallo impomatate e faccette “strafatte” che uscivano da una toilette, mostrando la mano timbrata per poter ritornare dentro. A dimostrazione appunto che avevano pagato le dodicimila lire d’ingresso. A chi? Ai responsabili forse delle attività culturali del Circolo omosessuale Mario Mieli, collegato alla “Muccassassina”? Perché, a sentire in giro, queste feste trasgressive servirebbero a raccogliere fondi per l’assistenza domiciliare ai malati di Aids. E se per entrare bisognava superare un muro umano e il disagio di occhi, angoscianti (anche malati) che ti guardavano, non era davvero possibile contare l’umanità che festeggiava la sua disperazione, tra balli di travestiti in combinazioni intime in quella fuga di stanzoni dai soffitti altissimi, spogli di qualsiasi mobilia, dotati soltanto di poche sedie. Ma tanto a che servivano le sedie visto che quelle duemila persone (perché meno non erano) non facevano che deambulare. E molti si stravaccavano per terra in una sorta di cortilone buio come la cripta di Giulietta, dove abbiamo visto brillare più di una siringa..E c’era un silenzio sepolcrale, trame il tramestio che seguì il passaggio di un ragazzone tutto nudo che si andò a sciacquare le putenda nella fontanella. Usciva da una delle “dark room”, le stanze buie dove erano in corso inenarrabili “ammucchiate”.

Dopodiché il tipo sempre in costume adamitico ritornò in un vastissimo stanzone dove la folla trasgressiva era impegnata in danze, diciamo, erotiche che prevedevano ogni genere di palpeggiamenti. Non mancavano le proiezioni hard sui muri. Certo che c’erano anche le donne sebbene la prevalenza fosse maschile. E il colmo fu quando una di queste s’inginocchiò davanti al ragazzo nudo con quel che si può immaginare, fatto in pubblico. “No, tutto questo mi dà angoscia. C’è il compiacimento della decadenza. Non sono feste liberatorie”, doveva dire Memé Perlini uscendo alle tre di notte, mentre sopraggiungeva con taluni mondani curiosi Paolo Villaggio seminascosto da un cappellaccio.

(Il Messaggero 1 novembre 1992)

da Venerdì di Repubblica del 15 maggio 2009
di Paolo Hutter
 
 
Il 27 giugno 1992, in piazza della Scala a Milano, furono celebrati simbolicamente le prime unioni civili di coppie dello stesso sesso. L'officiante era Paolo Hutter, allora consigliere comunale del Pds.
 

              Diciassette anni fa, uscivo la sera dagli uffici del consiglio comunale di Milano, in via Marino, mettevo tra parentesi i brividi dei primi lampi di Tangentopoli e andavo a casa di Gianni Delle Foglie e Ivan Dragoni, vicino a Porta Genova, dove tenevamo meravigliose riunioni progettando il nostro colpo di scena. L’idea era nata da Gianni, che gestiva la libreria Babele ed era un animatore dell’ancora piccolo ambiente gay. Voleva che facessimo qualcosa di nuovo per l’annuale Pride, e ancora non eravamo in grado di avere migliaia di persone in piazza. Mi avevano proposto di fare, in qualità di consigliere comunale, la parte dell’officiante del matrimonio tra lui e Ivan. Lo divertiva l’idea di vestirsi da sposa.

Discutendo, avevamo aggiustato il tiro del progetto, lasciato perdere i travestimenti da donna, avevamo coinvolto altre coppie e deciso di ispirarci al progetto di legge che in Francia allora andava sotto il nome di union civile (e che sarebbe stato approvato, come Pacs, Pacte civil de solidarité, dopo qualche anno). Le riunioni erano belle perché ci facevamo il progetto di legge su misura, chiedendoci di cosa avessimo bisogno e come comunicarlo più efficacemente e immaginando la cerimonia come lancio. Doveva esserci o no la convivenza come requisito necessario dell’unione civile? (No). Doveva essere una legge per tutti o solo per le coppie dello stesso sesso? (Solo dello stesso sesso). Come doveva essere regolata la separazione? (Lasciando per un certo periodo i doveri di assistenza al partner povero). Volevamo poter adottare figli? (Almeno per il momento, no).

 

           Ripensandoci oggi, non so come facessimo senza internet, ma avevamo informazioni internazionali abbastanza dettagliate, che ci consentivano di essere in sintonia con le riforme che si stavano attuando. In Danimarca, dal 1986 era in vigore l’Unione Registrata, una legge che mi sembrava molto buona. Dovevamo però essere sintetici e concentrarci su pochi articoli, come ha il codice civile sul matrimonio, quegli articoli che il celebrante leggi agli emozionati fidanzati nel matrimonio civile, prima di chiedere il “si” e di dichiarare che i signori x e y qui presenti sono uniti in matrimonio.

L’idea che aveva convinto tutti nelle riunioni era quella di rappresentare la cosa come avrebbe dovuto e potuto essere davvero, senza esagerazioni né ironici travestimenti. Alla fine, spargendo la voce e accettando anche un paio di coppiette fresche, non ancora consolidate, avevamo raccolto otto coppie maschili e una femminile, e fatto un po’ di prove.


il matrimonio finto,
 "officiato"però dal consigliere vero
Paolo Hutter nel 1992 a piazza della scala a Milano
 

           Qualcuno aveva invitato i familiari e preparato il bouquet. Con i collaboratori del gruppo Pds del Comune di Milano avevamo valutato che era impossibile per me indossare per l’occasione una fascia tricolore ufficiale e ne avevamo chiesta in prestito una identica a un laboratorio teatrale. L’Italia del ’92 era meno preparata di oggi alle manifestazioni gay, ma non era più omofobica, anzi: forse i colpi che Tangentopoli stava assestando al sistema politico rivelavano anche desideri e spinte  di novità legate al meglio dell’Europa. L’annuncio del nostro simbolico matrimonio collettivo suscitò più curiosità che indignazione. Piazza Scala si era riempita di curiosi, oltre che di giornalisti, teleoperatori e simpatizzanti. All’inizio sentivo dalla folla dei risolini, come se stesse per cominciare un circo. Ma abbastanza rapidamente il “bacio bacio” gridato alle coppie, man mano che dichiaravo al microfono che i “signori Giuseppe e Antonio qui presenti sono uniti civilmente”, perdeva il carattere di sfottò per diventare la divertita commozione con la quale si assiste a un matrimonio vero. Proprio a Gianni Delle Foglie e Ivan Dragoni, la coppia capostipite, capitò l’episodio rivelatore del successo umano dell’inziativa:andarono via con un taxi, e il taxista volle offrire la corsa.

La sera, tutti i telegiornali mandarono in onda il servizio, senza nessun Casini, Giovannardi o Calderoli a protestare, registrando solo la “perplessità” di Curia e Prefettura.

              Il Prefetto non aveva capito bene la storia della mia fascia tricolore e aveva protestato con il sindaco temendo che fosse stato trascritto dagli uffici di stato civile del Comune un matrimonio “sperimentale”.

Giampiero Borghini – sindaco travicello durante Tangentopoli per un annetto, prima di arrendersi alle elezioni anticipate – mi convocò per chiarimenti minacciando di togliermi la delega per celebrare i matrimoni, quelli veri. Lo pregai di non farlo. Celebrare  matrimoni mi piaceva moltissimo, ma questa rappresentazione che avevamo fatto non c’entrava nulla con la delega. Oltretutto non l’avremmo ripetuta negli stessi termini, anche se avevo ricevuto da alcune coppie in giro per l’Italia la richiesta di fare da celebrante, come se fossi un santo che fa i miracoli.

 


                Allora, nel ’92, il movimento che in quel modo nasceva in Italia per le unioni civili non era molto indietro rispetto agli altri Paesi e ci sentivamo ancora parte del mondo avanzato. Oggi non so se ridere o sconfortarmi nel registrare che la questione è persino fuori dalla agenda politica, salvo che non la riportino in auge i ricorsi che alcune coppie stanno facendo alla magistratura. Ormai ci sono leggi per il matrimonio o per le unioni civili in mezzo mondo, anche in America Latina. Un tragico destino ha fatto sperimentare, dalla teoria alla pratica, la durezza della questione proprio a a Gianni Delle Foglie e a Ivan Dragoni, la coppia trainante del gruppo del ’92. Quando, l’anno scorso, per un improvviso malore, rivelatosi poi gravissimo. Gianni è stato ricoverato, Ivan ha dovuto continuamente negoziare e rivendicare il suo diritto di stargli vicino, a essere informato, a decidere. “Ho detto che ero il convivente. E ho avvertito l’imbarazzo dei lettighieri.

 

              Comunque sono stati gentili. Mi hanno fatto salire e siamo arrivati all’ospedale. Da quel momento in poi. Ho capito che io per loro ero meno di un passante. Cercavano i parenti, quelli “veri”. Sono stati loro a dire ai medici che era importante che anche io stessi al capezzale del paziente. Subito dopo l’angioplastica che gli è stata praticata d’urgenza ho capito che le cose andavano male. Ma non me l’hanno comunicato loro. Lo dicevano ai fratelli, i quali lo spiegavano a me.

“Quando Gianni è spirato, era come se fossi diventato invisibile. Per tutte le decisioni importanti successive alla morte servono  le firme di quelli che per la legge sono i familiari. Quindi i fratelli e le sorelle. Non io.Questo per il prelievo degli organi, per la scelta della cremazione, per la richiesta di conservare le ceneri. Bastava che un solo fratello si opponesse a una di queste cose, che io e Gianni avevamo deciso e sapevamo l’uno dell’altro, e si sarebbe fatto in modo diverso”.

               Dopo 26 anni di vita di coppia, dopo essere andati in tv  come prima coppia dello stesso sesso che, in quanto tale, rivendica diritti, nell’Italia di Berlusconi e Ratzinger capita anche questo: che una persona colta e avvertita perda il proprio compagno e trovi ancora davanti a sé ostacoli di questo genere.

 
         https://malesoulmakeup.wordpress.com/2012/06/27/lgbtqi/

 

 

 

 

lunedì 11 aprile 2016

Eppure, alla fine, quasi tutti ci siamo tuffati in quel mondo, pur trovandolo alienante, “Sarà questa - ci eravamo incoraggiati – la maniera di essere gay…”.


                     E’ oramai ora che tutti parliamo un po’ di sesso. Ma non per stereotipi che – alla fine – si rivelano solo una fantasia degli etero! Dagli Usa la storica rivista gay The Advocate contribuisce al dibattito con l’intervento di un suo prestigioso collaboratore.

 

                                          di Gabriel Rotello

 

 

    

                       Guardavo i  miei compagni del gruppo seduti in cerchio: erano bianchi, neri, ispanici, asiatici. Alcuni provenivano da famiglie molto tradizionali, altri avevano alle spalle situazioni difficili; gli uni godevano di un certo reddito, altri erano di ceti sociali decisamente bassi. Eppure praticamente tutti noi venivamo descrivendo immagini simili. Ecco: noi ci immaginavamo che saremmo usciti allo scoperto come gay, avremmo trovato un compagno gentile e attraente con cui “metter su famiglia”; così ci saremmo impegnati a costruire una vita soddisfacente in un ambiente gay cooperativo.

                       A quel punto il moderatore ci invitò a descrivere quale cultura sessuale ci eravamo invece trovati di fronte. Sì, molti fra noi avevano scoperto che i bar, le saune e tutti gli altri luoghi di battuage erano eccitanti e ricchi di avventure: addirittura liberatori rispetto alle inibizioni precedenti. Tuttavia praticamente tutti ammettemmo che ciò che ci si presentava aveva distrutto le precedenti “romantiche” aspettative. Ci eravamo trovati di fronte a un sesso competitivo e che non sapeva regalare che gratificazioni passeggere; una scena in cui i più giovani erano trattati come quarti di carne ed i più anziani come fastidiosi rifiuti. Ci si era rivelato un mondo che dava per scontato l’uso di eccitanti e droghe, l’abuso di alcolici. Un mondo dove si era stimati per l’aspetto fisico e non per la lealtà, per le doti individuali, per la comprensione umana. In breve, ci aveva fatto orrore l’idea di dover invecchiare in quell’ambiente. Eppure, alla fine, quasi tutti ci siamo tuffati in quel mondo, pur trovandolo alienante. Sarà  questa - ci eravamo incoraggiati - la maniera di essere gay...".

                       A molti omosessuali l’ambiente gay – pur con tutti i suoi difetti e pericoli – sembra un paradiso se paragonato al deserto etero da cui proveniamo. E tuttavia in esso sono evidenti la competitività e le pressioni che ci condizionano. Si sarebbe indotti a credere che, di fronte a tutto ciò, i gay analizzassero la situazione, ne dibattessero e cercassero in qualche modo di trovare soluzioni per vivere meglio.

Invece no.

                       La nostra supina accettazione dello status quo e delle discriminazioni in chiave sessuale è uno stridente contrasto col modo in cui le lesbiche, agli inizi degli anni Ottanta, hanno messo in discussione la cultura sessuale che avevano assorbito. Le donne hanno saputo opporsi all’etica sessuale dominante nel mondo lesbico, accorgendosi di quanto fosse rigida, conservatrice, monotona e ostile al piacere. Gli omosessuali hanno un bisogno altrettanto urgente di un dibattito sull’etica sessuale. Perché allora non lo facciamo?

Per molti motivi.

                       Il problema delle lesbiche era l’inibizione e l’autorepressione. Trovare soluzioni ai loro problemi significava raggiungere più libertà. Al contrario, i problemi più gravi degli omosessuali maschi sono dovuti al consumismo sessuale e alla sfrenatezza, alla mancanza di limiti. Un dibattito serio ci indurrebbe probabilmente alla soluzione di legare più strettamente il sesso con il sentimento, l’intimità e la spiritualità, valori tutti, questi, che spesso vengono considerati – ahimé – “reazionari”!  Coloro che vogliono che il mondo gay rimanga così com’è tendono a confondere un gay che proponga queste argomentazioni con un omofobo che vuole ripristinare “i valori della famiglia”, anche se  la proposta del gay scaturisce dal desiderio di aiutare sé e gli altri. Questo è, credo, il principale motivo per cui evitiamo di impegnarci nel dibattito.

Ancora.


l'articolo di Rotello ripreso da BABILONIA  1996
                       Ci troviamo a disagio nell’affrontare il problema dell’etica sessuale gay perché ci sembra di criticare coloro che la praticano e di limitare in questo modo la loro libertà. Si teme, nel farlo, di apparire repressi o reazionari. Ma abbiamo motivi molto validi per questa critica; e non intendiamo accusare nessuno; ci sforziamo solo di crescere insieme. Dovrà pur essere possibile aprire un dibattito sul sesso senza apparire sessuofobi! Tale dibattito deve proporsi in prima istanza di valorizzare BIl’atteggiamento positivo e di disponibilità dei gay verso il sesso – non inteso come colpa – incorporandolo però in una concezione più “umana” e globale della vita.

 

                       Non sono pochi i temi urgenti da affrontare: il costo psichico della competitività sessuale fra gay: come la sfrenata valorizzazione della giovinezza si ritorca sia contro gli anziani sia contro gli stessi giovani; il salutismo e la cultura dell’aspetto fisico, che costringono a pompare il corpo e a dedicare infinite energie in questa direzione. Dovremmo esaminare come il modello eterosessuale di rapporti che abbiamo di fronte ci inviluppi  in una emulazione acritica, o – al contrario -  ci induca a sfuggirlo a priori, precludendoci, in un caso e nell’altro, la possibilità di instaurare relazioni affettive a lungo termine. E’ un dato di fatto che i bar e le discoteche incoraggiano l’uso di stimolanti e alcolici e sembrano presupporre un’equazione fra eccesso e sesso.

 

                      Da tutti questi fattori è derivato il fondamentale scacco della politica in favore del sesso sicuro negli anni Novanta.

 

                      Eppure la comunità gay sa dimostrare una sorprendente capacità di altruismo ed empatia profonda con i sofferenti, a livello sociale. E la produzione artistica e culturale degli intellettuali omosessuali è lì ad indicarci come sappiamo essere ricchi di importanti contributi per tutti gli uomini. C’è un profondo divario fra le nostre capacità sociali e il modo in cui gestiamo le nostre esistenze individuali: un po’ come il dottor Jekyll  e mister Hyde.

Forse non basterà parlare per cambiare le cose; però sarebbe bello farlo….

 


Autobiografie/Il leader del Fronte Omosessuale si confessa in un libro

Angelo Pezzana, un’esistenza Fuori

 

di MASSIMO TEODORI
 

Non sono molti gli omosessuali che in Italia parlano e scrivono pubblicamente della loro esperienza: anzi, se la memoria non mi inganna, l’autobiografia di Angelo Pezzana è il primo libro (Dentro & Fuori, Una autobiografia omosessuale, Sperling & Cupfer, 22.900 lire) che programmaticamente discute in maniera aperta di una
 “esistenza contro”, intrecciando ricordi personali, esperienze esistenziali e battaglie pubbliche nel lungo e difficile percorso di un gay che vuole uscir fuori dalla clandestinità e conquistare una normale vita omosessuale.
Due sono le possibili letture di Pezzana. Una è quella che l’autore stesso forse preferisce e così introduce: “Da ragazzo ho cercato disperatamente storie e vite omosessuali..Non l’ho trovate. Ho così raccontato me stesso perché sono convinto che, anche oggi, c’è da qualche parte un giovane che ha voglia di leggere vite omosessuali e non ne trova”. E’ questa la chiave esistenziale in cui si descrive il ragazzo che scopre la propria natura “diversa”, le esperienze di strada e dei cinemetti della retrograda provincia piemontese o gli alberghetti della più evoluta costa azzurra francese; in cui si riferisce dell’adolescente che scopre i propri simili, amoreggia o consuma atti casuali, e stabilisce un rapporto indispensabile con la sorella che diverrà il riferimento psicologico e affettivo per trent’anni.


 


L’altra lettura è quella che rintraccia nel racconto il filo rosso della battaglia pubblica del movimento di liberazione sessuale di cui Pezzana di cui Pezzana è stato in Italia l’inventore. Gli anni sessanta e settanta sono stati in tutto l’Occidente il tempo delle nuove battaglie di libertà intrecciate con la riscoperta delle identità culturali e sociali marginali o represse: le minoranze etniche, le donne e gli omosessuali. E’ vero che nel nostro paese, al contrario dell’Inghilterra e degli Stati Uniti, non vi sono mai stati accanimenti normativi contro gli omosessuali fin da quando nel 1890 il codice Zanardelli abolì tali reati. Ma non per questo l’emarginazione dei “diversi” è stata meno profonda e difficile. La battaglia pubblica di Pezzana inizia nel 1971 con la costituzione del primo gruppo omosessuale italiano, il Fuori!, Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano. Gli ostacoli all’azione aperta per rivendicare i diritti civili, combattere l’emarginazione e sradicare i pregiudizi, Pezzana e i suoi sodali li incontrano specialmente all’interno di quella sinistra che pure avrebbe dovuto farsi paladina delle battaglie civili. Il Fuori perciò si colloca nel filone libertario, umanista e riformatore che nel nostro paese, a sua volta, è stato sempre minoritario e avversato dalla sinistra a tradizionale egemonia comunista e, negli anni Settanta, anche di tipo rivoluzionario-marxista.

Non è un caso che Pier Paolo Pasolini fosse stato da tempo espulso dal Pci quando sorge il Fuori e che molti altri importanti letterati, cineasti o artisti di sessualità “diversa” da quella considerata “normale”, vivessero la loro condizione privatamente o al massimo trasfigurandola nelle opere, senza tuttavia prendere pubblicamente posizione. La rottura di Pezzana sta, invece, proprio nel conquistare una pubblica visibilità dando vita ad azioni, se necessario scandalose, per infrangere i nodi culturali e sociali che schiacciavano e oltraggiavano l’omosessualità.

E così che l’incontro di Pezzana con il Partito Radicale è ovvio. Le iniziative degli omosessuali del Fuori si intrecciano con quelle dei radicali che proprio negli anni Settanta sono all’apice dei diversi movimenti per i diritti civili. Fino a quando anche la battaglia omosessuale si conquista un posto ufficiale nei movimenti di massa della sinistra tradizionale.

Alla fine degli anni sessanta il Fuori nasce come reazione al bacchettonismo della “Stampa” di Torino e al bando cui vengono relegati gli omosessuali dai grandi partiti. Alla fine degli anni settanta v’è un episodio simbolo: Giuliano Ferrara, allora funzionario del Pci torinese, invita il leader omosessuale Pezzana a prendere la parola al festival dell’Unità. Il muro è rotto: non c’è più bisogno di battaglie eretiche come quelle del Fuori e anche il Pci coglie l’importanza di organizzare gli omosessuali. Ma questa è un’altra storia da quella del solitario precursore Pezzana le cui coraggiose e pericolose avventure in Urss come a Cuba, in Olanda come nell’Islam vengono qui narrate senza ipocriti veli ma neppure con presuntuosa supponenza.

 

Il Messaggero  30 giugno 1996

ANGELO PEZZANA: “Trovo che la cosa più bella di tutta la manifestazione sia stata proprio la frase di Bassolino: l’amore non deve conoscere diversità. Il resto, ribadisco, era volgarità e imbecillità


Un modo di vedere, quello di Pezzana risalente a 20 anni fa,  e che è ancora oggi condivisibile da moltissime persone, gay ed etero. Quegli stessi etero che oggi più che mai e a stragrande maggioranza , ribadiscono il loro no al matrimonio ma soprattutto alle adozioni gay. E' questa la questione da risolvere.
 
 
 
PEZZANA: perché fare quelle mascherate ?

 

di Manuela Regoli

 

 

Roma – Gay festosi. Scandalosi gay. Provocazioni bollate come immorali dal cardinal Giordano, vescovo di Napoli, all’indomani della manifestazione dell’” orgoglio omosessuale”. E’ una settimana fa la stessa censura è arrivata dagli abitanti della romana Campo de’ Fiori, teatro di un concerto per affermare, anche questo, l’orgoglio gay.

Omosessualità deve per forza far rima con volgarità? Leopoldo Mastelloni, attore en travestì, omosessuale orgoglioso ante litteram, indignato, rifiuta ogni commento e si trincera dietro un sibillino: “Preferisco non rispondere perché sarebbe come dare voce alle voci di chi non dovrebbe avere voce” Boh!

Angelo Pezzana, fondatore del Fuori nei primi anni ’70, autore di Una autobiografia omosessuale da poco in libreria, è lapidario: “Omosessualità fa spesso rima con volgarità e nel caso della manifestazione di Napoli, pure con stupidità”.

 

Lei ha fatto della provocazione politica uno strumento per ottenere quella che agli inizi degli anni ’70 si chiamava ancora  “liberazione degli omosessuali” e adesso bolla come cretini quelli che manifestano?

 

“Io dico che Grillini, promotore della manifestazione napoletana, non è intelligente. Queste mascherate andavano bene ed erano provocatorie venticinque anni fa”.

Cos’è il suo, un ritorno di fiamma per Oscar Wilde, la clandestinità e “L’amore che non osa dire il suo nome”?

“Quella può avere il fascino dell’antico. Voglio dire che rifare le cose vecchie è da stupidi e il risultato non può che essere volgare. Che senso ha voler dare un pugno nello stomaco a tutti i costi? Scimmiottiamo gli americani e facciamo finta di non sapere che a quella manifestazione c’erano diecimila partecipanti e solo una minoranza sparuta era “mascherata”.

Rivendicazione dei diritti, visibilità. E’ tanto difficile non oltrepassare la soglia della volgarità, del cattivo gusto?

 

“E’ la normalità dell’omosessualità a dover essere resa visibile. Il discorso sulla visibilità è molto bello e giusto, ma nulla ha a che fare con il travestitismo. Anche una donna sarebbe volgare se andasse in giro per la città in calze a rete, boa di struzzo e seno al vento. Quelli che erano alla manifestazione, poi, vivono nella gran parte una normalità che è fatta di abiti gessati, grisaglia. Le effusioni pubbliche danno fastidio anche se a pomiciare è una coppia eterosessuale. Allora, mi chiedo, che senso ha voler infastidire il prossimo, offenderlo, a tutti i costi?

 

I più infastiditi, nel caso di Napoli, sembrano essere i militanti di destra. Il segretario del Msi Fiamma tricolore, ha definito la manifestazione “squallido e obbrobrioso spettacolo”. An se la prende con Bassolino affermando che la sua solidarietà agli omosessuali, la dice lunga su di lui.

 

“Trovo che la cosa più bella di tutta la manifestazione sia stata proprio la frase di Bassolino: l’amore non deve conoscere diversità. Il resto, ribadisco, era volgarità e imbecillità”.

 

Nel suo libro se la prende con quella parte della sinistra che accusa gli omosessuali di esibizionismo. Non sono le stesse “colpe” che la spingono ora a condannare l’Arcigay?

 

 

“Ma no, poverini. Gli hanno dato questa sorta di recintino in cui sfogarsi di tanto in tanto ed è sempre meglio di niente. Quello di cui parlo nel mio libro è il fastidio che la visibilità, il fare della propria condizione un momento rivendicativo, disturbasse l’acquiescenza a cui ci aveva abituati la cultura eterosessuale”:

 

Lei ricorda spesso, come solo vent’anni fa, perfino il termine omosessuale, fosse evitato. Quando non erano “pervertiti”i gay erano “invertiti”, “diversi”, “finocchi” e pure qualcosa di peggio. C’è ancora bisogno di agitarsi tanto?

 

“Una delle accuse che ci muovono è, non a caso, l’isteria. Altro non è che una specie di arrabbiatura mancata. Un fenomeno tipico di chi non ha potere. Come le donne. Ed anche per questo trovo volgari e stupide le “mascherate”. Tentare di ridurre l’omosessuale a una “femmina” fa parte proprio di quella cultura che ghettizza donne e gay riducendoli allo stesso livello: un gradino al di sotto di sé”.

 

IL MESSAGGERO  2 LUGLIO 1996

 

 

 

 

 

 

 

domenica 10 aprile 2016

CAFFE' POSIT HIV A BERLINO GIA' DAL 1995






Opuscolo del Cafè Posit Hiv di Berlino nel 1995

 Oggi sei qui per la prima volta. Sicuramente ti è costato un certo sforzo su te stesso, perché non sai cosa ti aspetta. Hai paura di incontrare qualcuno che ti conosce.
Ed ora sei qui seduto al caffè con la grande vetrata, come su di un vassoio.
Ti credi osservato dagli altri clienti e dai camerieri, chi ti crederanno, vorresti proprio riandartene.
 Noi, i gestori, vorremmo che il caffè fosse un luogo di incontro.
 Qui ognuno dovrebbe trovarsi a proprio agio, in accordo col proprio modo di sentire, senza paure.
Il caffè deve essere un luogo di ritrovo, ma anche un luogo ove uno può ritirarsi. Noi del personale ci suddividiamo i lavori per il e nel nostro caffè e formiamo una variopinta miscela.
Se vuoi sapere chi di noi è effettivamente in servizio puoi leggerlo sulla tavola che sta sul bancone e che ne riporta i nomi di battesimo.
 
opuscolo cafè posit Hiv Berlino
Sei ora incerto su come comportarti e ordini alla svelta qualcosa da bere, acchiappi uno dei giornali che vedi in giro e ti siedi in un angolo.
Fallo, se è lo startene da solo che desideri.
Se invece vuoi chiacchierare, ebbene, è difficile, in un ambiente estraneo, rivolgere la parola agli altri.
Ma tieni presente che non necessariamente il tuo desiderio risulta evidente per gli altri avventori e per il personale.
Cerca, a modo tuo, di aprirti, rivolgici delle domande, coinvolgici in un discorso o, più semplicemente, prendi posto vicino a noi sul bancone.
In questo modo possiamo meglio conoscere i tuoi desideri e prenderli in considerazione
 
Così il caffè Posit Hiv diverrà presto anche il tuo caffè
 
 
 
                                                                                                                                                                             Manifestazioni che hanno regolarmente luogo al Cafè Posit Hiv
- ogni mercoledì alle 19: viaggio medico
25.10.95  I centri di ricerca AIDS si presentano
opuscolo cafè posit Hiv Berlino 1995
29.11.95  Hiv e gravidanza
- ogni mercoledi e domenica dalle 19 alle 21
spagnolo                                     
 - ogni giovedi dalle 13:  pranzo
 - ogni giovedì dalle 20 : gruppo pittura
 - ogni venerdì dalle 18: tavola riservata per gli eterosessuali;
 - ogni primo venerdì del mese dalle 21
tavola riservata per i barbuti
 - ogni secondo sabato del mese dalle 13
tavola riservata per l'offensiva e.v.
(donne positive dall'HIV e "Solo donna")
- 6.1.96 Jazz e lettura

sabato 9 aprile 2016

BUSI: al gay pride "Vestitevi con gli abiti di tutti i giorni di lavoro" (il che resta comunque un problema con travestiti e trans che, secondo me, con questa giornata e con l'omosessualità non hanno niente a che fare, come, storicamente, niente hanno a che fare le lesbiche con la rivolta di Stonewall - evitino, quelle, almeno quel giorno, le tute da camionista e da gruista)."




              Prepariamoci al 28 Giugno. E’ ormai venuto il momento della trasgressione ultima: assumerci l’impegno di adesione al comune patto sociale con la nostra blanda quotidianità, con i “travestimenti” riconosciuti che di noi fanno veri cittadini.”    

 

 

 
dal mensile BABILONIA 1997
 

 

l'articolo di ALDO BUSI su BABILONIA 1997
                 Porto le mani avanti, visto che bisogna prepararsi spiritualmente e, soprattutto, sartorialmente alle manifestazioni del 28 Giugno, festa dell’orgoglio omosessuale: nel 1997 bisogna fare voto di modestia e di coraggio, cioè di normalità e di controcoglioni fino in fondo. Travestirsi un giorno da leoni per campare gli altri 364 da pecore da circo è, ormai e irreversibilmente, da vigliacchi. La diversità sessuale (?  e metto un punto di domanda, perché spesso l’unica differenza fra un maschio omosessuale dichiarato e un altro qualsiasi è, per l’appunto, che il primo è dichiarato – salvo, altrettanto spesso, essere un omosessuale che va anche a donne…) non è una diversità sociale in nulla e per nulla.

                   Alla parata – che non so dove si svolgerà – niente triti e ritriti baloccamenti sull’eterno androgino, quest’anno, nessuna suora, nessun prete, nessuna tetta fuori, nessun travestimento: la parola d’ordinanza è “Vestitevi con gli abiti di tutti i giorni di lavoro” (il che resta comunque un problema con travestiti e trans che, secondo me, con questa giornata e con l’omosessualità non hanno niente a che fare, come, storicamente, niente hanno a che fare le lesbiche con la rivolta di Stonewall – evitino, quelle, almeno quel giorno, le tute da camionista e da gruista).


 

una pagina di LIBERO del 2009 a testimonianza che dopo 12 anni nulla è cambiato
in materia di comunicazione: per fare la cronaca
del gay pride usa le stesse parole di Aldo Busi del 1997

                    E’ venuto il momento di fare paura, non di suscitare scherno e ridicolo e sufficienza, è venuto il momento di dare lo scandalo estremo e non più di limitarsi a dare ai borghesi e ai familisti il contentino spettacolare per le strade (per la gioia di chi, vedendovi conciati da pattumiera femminilissima/mascolinissima e umiliante sia per gli uomini che per le donne, avrà ogni ragione per assimilare l’omosessualità a una forma di baracconata mostruosa o divertente o da compiangere).


 

                  Il cardinale Giordano di Napoli, l’anno scorso, ha avuto gioco facile nel condannare la manifestazione omosessuale (io, per spirito di parte, ho fatto le mie solite dichiarazioni contro di lui e in difesa dei gay, ma mi sono detto che era anche l’ultima volta che una massa di subculturati orgogliosi – del cazzo – avrebbe avuto il mio appoggio indiscriminato), e quanti, ancora indecisi, hanno visto tutte, ‘ste povere sgallettate travestite da chissàche meno che da persone e da persone e da cittadini comuni si saranno detti, “Bé, se questo è l’ambiente che mi si apre, è meglio che aspetti ancora qualche secolo a uscire fuori”.

 

Una LUXURIA ad uno dei primi pride italiani
(BOLOGNA 1995)
con i suoi travestimenti, riuscirà
ad ottenere la visibilità tanto cercata.
                  La diversità, come è stata concepita fino a adesso – e grossa responsabilità, socialmente e politicamente per noi negativa, in questo senso ha l’Arcigay, che organizza le manifestazioni senza un briciolo di filosofia strategica e, anzi, insistendo nello stesso errore strutturale di far scendere in piazza con gli antichi e pacifici stereotipi di sempre – deve oggi lasciare sgomenti i bigotti e i reazionari per la sua blanda quotidianità, la sua ovvia appartenenza a un comune patto sociale, la sua visibilità politica legata al mondo (e ai travestimenti: casual o giacca e cravatta sono pur sempre degli abiti di scena) di tutti i giorni.

Noi non siamo madri badesse né pin-up né centauri con borchie e belletto, noi non siamo Priscille: noi siamo innanzitutto lavoratori incazzati, contribuenti fiscali incazzati, assistiti sanitariamente (…) incazzati, pedoni incazzati per i predoni da microcriminalità – quando ci va bene.

Se volete fare baldoria, in modo appena appena un po’ meno triste, aspettate un altro Carnevale, non sciupate anche quest’anno la grande occasione del 28 Giugno.