domenica 8 maggio 2016


I  pride, per quanto belli e sempre più numerosi in Italia, non bastano a farci vincere la battaglia per l’uguaglianza. Occorrono sforzi straordinari, in un momento di oggettiva crisi, e certamente un clima più sereno nei rapporti interni alla comunità glbt.

 

COSA C’E’ OLTRE L’ORGOGLIO?

 

Gianni Rossi Barilli 

agosto 2009

 

 

 

 

Con il pride nazionale di Genova del 27 giugno e con quello di Catania del 4 luglio, (di entrambi gli eventi offriamo una parziale documentazione nelle immagini di queste pagine) si è conclusa la lunga e variegata celebrazione dei quarant’anni da Stonewall. E si presenta l’opportunità/necessità di tracciare un bilancio, utile ci auguriamo per guardare avanti con un filo di prospettiva.

Le manifestazioni in se stesse si sono senz’altro rivelate all’altezza delle aspettative e hanno restituito la fotografia di una realtà glbt che non demorde, anche in momenti oggettivamente difficili come quello attuale, nel pretendere giustizia. In un paese più che mai refrattario all’idea dell’uguaglianza tra le persone e alla certezza delle regole.


Essere scesi in piazza in tanti, dal nord al sud, è un segno di forte vitalità e resistenza civile, eppure il messaggio sembra essere caduto almeno in parte nel vuoto. I pride, a cominciare da quello nazionale di Genova, hanno avuto un ottimo risultato sulla scala locale. Hanno creato dibattito e picconato i luoghi comuni ostili, stimolato una crescita culturale e un prevalente atteggiamento simpatizzante nella cittadinanza, com’era del resto spesso accaduto anche negli anni passati. Ciò che sembra invece essersi inceppato è il ruolo politico più generale delle nostre manifestazioni di giugno. Ormai non siamo più da tempo una novità nel panorama, e i pride fanno ormai notizia più o meno come il raduno degli alpini: belle foto colorate in cronaca e morta lì. La richiesta di parità e laicità, invece, chi la sente più?

Sta forse accadendo da noi quello che è accaduto in molti altri paesi, dove le celebrazioni dell’orgoglio glbt, da dirompente rivendicazione di identità e in quanto tale politica, sono via via diventate una più pacifica festa popolare che ha il grande pregio di attirare un po’ di turisti. La differenza, però, è che da noi l’uguaglianza delle persone glbt è ancora un vago sogno. Sul tema dei diritti siamo sempre al punto di partenza, mentre i progressi sul terreno della convivenza sociale sono troppo spesso smentiti da episodi di violenza e intolleranza.

E noi che facciamo in tutto ciò? Facciamo a borsettaie tra noi. Il movimento glbt, come presumibilmente tutti i gruppi umani organizzati e non, ha vissuto fin dalla sua nascita vivaci e non sempre incruente dialettiche interne. Nulla di strano perciò che ci sia competizione e divergenza tra le persone, e qualche volta anche tra le idee. Il problema è che in un momento in cui ci sarebbe bisogno di uno sforzo straordinario per uscire dal pantano di una realtà che non cambia, darsi alle guerre (anziché alle battaglie) civili, non è esattamente una strategia vincente. Per non risultare incomprensibili, oltre che omertosi, facciamo qualche esempio:




1. Sopravvivono, a un anno di distanza, denunce e controdenunce ereditate dai litigi tra Facciamo Breccia e Arcigay al pride nazionale di Bologna 2008.

2. Negli ultimi mesi abbiamo assitito a diversi round di una lotta senza esclusione di colpi tra il portale Gay.it e i vertici di Arcigay nazionale (a cominciare dal presidente Aurelio Mancuso di cui Gay.it ha chiesto esplicitamente le dimissioni). Abbiamo scelto di non raccontare minutamente i particolari di questo scontro, del resto ampiamente coperto da altri mezzi di comunicazione gay e non, per non essere costretti a prendervi parte e per non contribuire in nessun modo a mantenere alti i toni di una polemica che non condividiamo nei metodi(da ambo le parti) al di là di qualsiasi merito politico.

3. Arcigay, la più forte sigla del mondo glbt nostrano, attraversa un momento di crisi e scontri interni da cui non uscirà nella migliore delle ipotesi prima di gennaio, data in cui si svolgerà il prossimo congresso nazionale. Il che non aiuta a promuovere l’iniziativa politica all’esterno.

Riportando pettegolezzi e malumori potremmo aumentare virtualmente all’infinito il numero degli esempi, ma questi ci sembrano sufficienti a comprendere che il clima di collaborazione nella comunità non è al top. E’ facile attribuire l’introversione dell’aggressività alla difficoltà di agire “là fuori”, ma puntualizzare ancora una volta che i veri nemici da combattere stanno altrove non appare purtroppo superfluo. Ristabilire un clima costruttivo è una necessità, per poter pensare al muro di gomma contro cui rimbalzano da troppo tempo le nostre richieste di parità e per contrastare il sempre più cupo e diffuso qualunquismo secondo cui se tutto fa schifo ognuno fa come meglio gli conviene. Questa è una brutta malattia italiana, e i gay non fanno certo eccezione (anzi), ma non si cura strappandosi la parrucca a vicenda. Godiamoci quindi quello che resta dell’estate e speriamo in un autunno rinfrescante.

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