GIO' STAJANO

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GIO' STAJANO: MASSIMO CONSOLI  MI SCRISSE  DALL'OLANDA ED IO DIFFUSI,  ATTRAVERSO "MEN", IL SUO MANIFESTO GAY

 
Rome Gay News – Archivio Massimo Consoli
Antonio Di Giacomo intervista  Giò Stajano presso Frida un’amica di Roma il pomeriggio del 16 dicembre 1995

Stajano  Gullotta alla festa di compleanno di Consoli
 
D. Giò Staiano definito da Massimo Consoli, la “madre del movimento gay italiano”. Sei d’accordo con questa definizione?

R. Beh, non è completa.  Stajano è la madre di tutte le battaglie per la liberalizzazione dei gay in Italia.  Vedi, l’otto novembre scorso, il quotidiano Il Tempo ha pubblicato con gran rilievo, mezza pagina con fotografia, la notizia del mio avvenuto decesso per AIDS. Notizia che, evidentemente, doveva essere falsa dal momento che sono qui oggi a parlare con te, ad un mese di distanza Qui a Roma, dove sono venuta per incontrarmi con il mio avvocato, per sporgere la denuncia-querela contro questo giornale per diffusione di notizie false e diffamatorie. Poi, quando sarà accolta alla Procura della Repubblica e stabilito il giorno dell’udienza, ne riparleremo. Intanto sono viva e sono viva da più di mezzo secolo. La mia prima nascita, come uomo, risale all’11 dicembre 1931 e la mia rinascita, come donna, cinquant’anni dopo, è dell’11 novembre 1981. Dunque cosa volevi sapere?

D. All’interno dell’Archivio Massimo Consoli stiamo portando avanti un lavoro, uno studio, che abbia come scopo principale quello di conservare la memoria storica del movimento gay italiano e  della realtà gay del nostro passato, attraverso la viva voce dei suoi protagonisti, sia che si tratti di personaggi famosi che di illustri sconosciuti che hanno qualcosa da dire, da raccontare. E’ un lavoro importante che non ha mai fatto nessuno e che  verrà conservato presso l’archivio Consoli: non potevamo  che cominciarlo proprio con  Giò Staiano.
Giò puoi parlare liberamente al microfono ed il sottoscritto cercherà di interromperti il meno possibile.

Com’era la vita dei gay negli anni della “Dolce Vita”?

R. La vita dei gay, negli anni della dolce vita non esisteva. E questo  perché  dal 1950 al 1960, i gay in Italia non esistevano, almeno ufficialmente, si ignoravano. Si scopriva l’esistenza di qualche singolo caso solo in occasione di qualche fatto di cronaca nera. Per esempio, se qualche poveretto veniva scoperto in qualche  gabinetto pubblico  a compiere qualche gesto che non si sarebbe dovuto compiere in quel posto ( si fa una bella risatina). Oppure, nel caso di qualche delitto di qualche ragazzo, come successe con il famoso caso del delitto Lavorini a Viareggio. E in quei casi si parlava dell’omosessuale come di un turpe individuo che apparteneva al sottobosco del torbido e corrotto ambiente di quella  specie di mostri mitologici.

D.Quando sei approdata in una grande città come Roma?

Sono venuta a Roma per l’università nel 1951-52. Provenivo da una famiglia perbenissima italiana, con degli ascendenti illustri:  mio nonno,  Achille Starace,  (il padre di mia madre) era stato il segretario del Partito Fascista dal 1931 fino al 1939, poi fucilato con Mussolini a Milano a Piazzale Loreto. Quindi una famiglia di prestigio con principi dell’ortodossia più rigida. Però, quando a 16 anni nel collegio dei Gesuiti, fu evidente la mia tendenza omosessuale, si ricorse a delle cure endocrinologiche, con piccoli interventi d’innesto di ormoni maschili, allora praticato da un famoso chirurgo dell’epoca, il prof. Nicola Pende, che garantiva la guarigione; allora  l’omosessualità era considerata una malattia. Guarigione che regolarmente non avvenne!
Questo innesto d’ormoni maschili produsse soltanto l’infoltimento della barba che allora cominciava a crescere e che mi ha afflitta tutta la vita ( Giò si fa una bella risatina) e niente altro. 

D. I tuoi allora come reagirono? 

Allora, vedendo l’inutilità di queste cose, i miei familiari, per primo mio padre, accettarono la mia condizione psico-fisica, perché da persone intelligenti capirono che non era un vizio, una malattia, ma era stato di natura contro il quale non c’era niente da fare. E non fui più ostacolata. 

Quindi continuai a vivere in famiglia con l’affetto e il rispetto dei miei familiari e dei miei fratelli. E venni a Roma per l’università. Naturalmente,dopo gli anni del collegio, questa vita sempre condotta sul binario della rettitudine, priva di libertà, per la prima volta sola e libera, padrona di me stessa, (io parlo al femminile, ma allora ero un ragazzetto), e quindi assaporai appieno questa libertà e dell’università non me ne curai affatto. Ti ricordo ancora una volta che  allora gli omosessuali non potevano manifestarsi liberamente e quindi io che avevo questo atteggiamento effeminato, poi essendo afflitta dall’acne, il dermatologo mi aveva dato una polvere medicamentosa però leggermente rosata ed essiccante sul viso, sembrava che fosse cipria. E quindi suscitavo l’attenzione degli altri universitari goliardi e quindi, pensa tu, gli scherzi e le ironie…. Anche se non ci fosse stato questo fatto, la vita goliardica pretendeva la promiscuità di uomini e donne e quindi il dover parlare di donne, avere la ragazza.. tutte cose che a me davano un fastidio proprio epidermico. E quindi non mi sentivo a mio agio e tutto questo mi fece allontanare dall’ambiente universitario.


Giò Stajano ai tempi di Men
 
E pian pianino, nel centro di Roma, Piazza di Spagna, Via Margutta, cominciai ad incontrare gli altri omosessuali, perché non è che non esistessero, però bisognava riconoscersi con dei piccoli segni, come i cristiani ai tempi delle persecuzioni… Una volta individuati, si stabiliva una solidarietà reciproca e si finiva con il frequentarsi in piccoli gruppetti. All’inizio ne scoprii e loro scoprirono me, cinque-sei  in tutta Roma (risatina) e quindi ci si incontrava in via Veneto, Piazza di Spagna e si passavano le giornate insieme. Si andava molto al cinema: c’erano dei cinema particolarmente modici dove si pagava dalle tre alle cinquecento lire e si potevano vedere anche due film nello stesso giorno. Erano frequentati da militari in libera uscita e gli incontri erano facili, perché anche per gli eterosessuali era difficile incontrare ragazze. A quell’epoca, per avere un rapporto sessuale con una ragazza perbene, che non fosse una prostituta di una casa di tolleranza, bisognava fidanzarsi, sposarsi (risatina) E quindi i rapporti sessuali con ragazzi perbene, d’aspetto gradevole..Perchè poi il militare si faceva a 21 anni e c’erano dei ragazzi di 24,25,27,28 anni e i rapporti erano facilissimi.


D. E allora la risposta è scontata ma te la devo fare lo stesso : Non si parlava di FUORI, Arcigay, locali,  associazioni varie , riviste del settore come Lambda, Babilonia  e chi più ne ha più ne metta..giusto?

R. Ma neanche per idea, ma come te lo sogni scusa (ride). C’era, te l’ho detto, la fortuna di riconoscersi. In tutta Roma, a quell’epoca, eravamo un gruppetto, cinque, sei, otto, non di più… a dieci non si arrivava. E sotto un certo aspetto era anche una fortuna perché tutto il materiale umano maschile  era disponibile solo per noi (ride)..C’erano delle riserve enormi di virilità di cui usufruire (ride). Fra gli altri, l’unico autorevole omosessuale, a quell’epoca, perché aveva avuto una storia con il suo segretario, era un amico di famiglia, deputato monarchico, l’onorevole Vincenzo Cicerone, che affettuosamente chiamavo Zia Vincenza. E lui era stato protagonista di uno scandalo: aveva sparato al suo segretario perché aveva avuto l’ardire di annunciargli che voleva sposare una donna, dopo aver avuto una relazione sentimentale con lui e di aver avuto grandi vantaggi da questa relazione.

Come se non bastasse, dopo questo episodio, lui aveva un amico anch’egli omosessuale, Renato Moranzani, qui parliamo però di persone di una certa età, oltre i trent’anni, perché per noi, in quegli anni, oltre i vent’anni erano già anziani.
Questo era una specie di press agent, si interessava di lanciare nel cinema giovani attori e attrici ed era omosex. E organizzava a casa dei piccoli ricevimenti a cui partecipavano molti sportivi tra i quali i giocatori della Roma. Naturalmente c’era anche qualcuna di queste aspiranti attrici, ma non un granchè e quindi la parte erotica per lo più andava a beneficio della zia Vincenza. Infatti, dopo questi piccoli ricevimenti a casa di Renato, il gruppo migliore dei suoi ospiti, i giocatori della Roma, andavano a finire la serata in casa della zia Vincenza, dell’onorevole, che li accoglieva vestita da Geisha, con profumi orientali e chimono giapponesi. E quindi zia Vincenza e Renato divoravano questi giocatori della Roma, la quale Roma, come squadra di calcio, quell’anno retrocesse in serie B (risatina).

E quindi i tifosi infuocati, quando vennero a sapere come passavano le serate i propri beniamini, assediarono la casa della zia Vincenza, la volevano linciare, tantoché non potè più circolare per Roma e per qualche mese dovette scappare in America, per far passare questa ondata di furori sportivi contro di “lei”.

D. Hai cominciato a dipingere da giovanissima, una vera passione che coltivi ancora oggi..

Sì,  a via Margutta  avevo conosciuto Novella Parigini perché avevo  appunto tendenze a dipingere, cominciai a partecipare alle mostre con  i miei quadri. Avevo adottato un abbigliamento consigliato da Novella, un po’ vistoso, tutto nero, pantaloni nero, pullover nero accollato che poi fu quello che figurò nel film “La dolce vita” con catenelle dorate e bigiotteria sul collo. E quindi questa figura che non si era mai vista in giro per Roma, era un abbigliamento adatto per una donna, cominciai ad essere fotografato sui giornali. Poi il fatto di essere il nipote di Achille Starace, veniva sempre citato, come termine di confronto, questo nonno che aveva auspicato la maschia gioventù italiana e questo nipote che tutto poteva sembrare, tranne che il prodotto degli auspici (risatina). Cominciai ad acquistare una notorietà. Poi nasceva quella che Federico Fellini chiamò la Dolce Vita. Ci si incontrava nei caffè di via Veneto con Novella, venivano dei nobili romani, i principi Colonna, Borghese ed altri, attori, attrici, Linda Cristian e altre. Insomma, questo gruppetto, il nocciolo duro della dolce vita, dove ognuno aveva un ruolo. C’era Linda Cristian attrice, principi, i playboy e, per la prima volta, l’omosessuale che ero io, che non negavo di esserlo. E quindi come nella commedia dell’arte ognuno aveva il suo personaggio.

D. Quando nasce Giò  anche come  scrittore e giornalista?
 
 Nel 1959 scrissi il mio primo romanzo che s’intitola “Roma Capovolta”, che fece grande scalpore e venne sequestrato dopo un paio di mesi. La prima edizione andò a ruba. Come uscì la seconda edizione, fu sequestrato, processato e mandato al rogo.  Così Federico mi volle per la Dolce Vita, insomma io diventai il simbolo, l’unico omosessuale italiano esistente (risata). Poi sotto questo aspetto, non si parlò più di università e cominciarono ad offrirmi collaborazioni ad alcuni giornali come “Lo Specchio”, un settimanale del genere “Novella 2000” di oggi, che si occupava di scandali. Siccome io ero al centro di quell’ambiente, potevo fornire queste notizie. Poi, vennero altri giornali come “Momento Sera”.Nel frattempo, avevo scritto altri romanzi, sempre di argomento omosessuale e sempre sulla falsariga di fatti veri, di episodi veri.

Dopo il sequestro di “Roma Capovolta”, scrissi “Meglio un uomo oggi”, che però l’editore non ebbe il coraggio di pubblicare con il titolo che avevo scelto io, e lo cambiò con “Meglio un uovo oggi”! Ma anche quel titolo non riuscì a salvarlo dal sequestro e dal rogo.

Poi scrissi “Le signore sirene”dove, fattomi un po’ più furba, adottai tutta una metafora invece di dire apertamente che si parlava di omosessualità. Inventai delle donne che nascevano con i capelli  verdi e una voce armoniosissima; però, poi erano sterili. Per cui, dalla morale, il loro matrimonio veniva considerato inutile ed era vietato, visto che non aveva la funzione di riprocreare.

Il massimo desiderio di queste donne dai capelli verdi, era quello di avere un auditorio; che la loro voce venisse ascoltata da più uomini possibili. E anche questo venne vietato era considerato immorale, in quanto distrazione dai doveri familiari. Una volta creati questi personaggi, si sviluppavano delle vicende. Una delle sirene ero io. Alla fine, visto che queste erano sempre più sicure di sé, ed erano diventate troppo petulanti ed invadenti, fu ordinato il loro sterminio e vennero tutte soppresse in vari modi. Tutte, meno due che si salvarono rinchiudendosi in un armadio, ma non riuscendo, però, più ad uscirne. Dopo due anni furono rinvenute mummificate e vennero esposte in un museo con la dicitura “appartenenti alla specie umana, però non si riproducono, ma si moltiplicano”.

Nel ’68 scrissi “Roma erotica”, e poi “Il letto stretto”dove avevo rivolto particolare attenzione al lato psicologico. Quest’ultimo libro raccontava la vicenda di un eterosessuale che aveva incontrato un omosessuale con il quale aveva intrecciato una relazione semi-platonica  e contemporaneamente aveva un’amante, una donna. Lui voleva conciliare le due cose, cioè avere il coté sessuale soddisfatto dall’amante donna, e il coté intellettuale, anche sentimentale, soddisfatto dal giovane amico. Una situazione che andava bene per lui, ma non per gli altri due. Perché la donna voleva anche essere considerata come soggetto affettivo e l’omosessuale anche dal punto di vista sessuale.
Per questo il titolo del libro era “il letto stretto” perché non c’era posto per tutti e due.
Ebbe molto successo (il libro) ed aiutò la condizione degli omosessuali dell’epoca.

D. Poi arrivò la collaborazione  “rivoluzionaria”con MEN di  Adelina Tattilo

Sì, nel 1971  l’editrice Adelina Tattilo mi affidò l’incarico di redattore capo di “Men”che era nato tre anni prima come settimanale prettamente eterosessuale. Il primo a pubblicare le immagini osé di belle ragazze discinte al massimo, ad occuparsi di cronaca e di costume, con un occhio attento all’erotismo. Nato con la rivoluzione del ’68, all’inizio fu subito sequestrato. Ma il rappresentante ufficiale degli omosessuali continuavo ad essere io, da solo.

Anche di Pasolini e di altri personaggi, tutti sapevano che lo erano, ma nessuno si poteva permettere di dirlo ufficialmente. Io, quando i giornali lo dicevano, non querelavo, perché non ritenevo che fosse un’offesa. Avrei querelato se mi avessero detto che ero ladro o deficiente. Di conseguenza, sui giornali e sui cinegiornali ero sempre rappresentato io.

Così per  risollevare le sorti del settimanale Men, perché nel frattempo le vendite erano calate visto che a tutto si fa l’abitudine, anche alle fotografie delle donnine nude, la Tattilo ebbe l’idea di affidarmi l’incarico di redattore capo. Pur continuando il giornale a mantenere la sua impronta, vennero aggiunte delle pagine dedicate agli omosessuali. E fu un successo strepitoso.

Inaugurai una rubrica dal titolo “il salotto di Oscar Wilde spolverato da Giò Stajano”, dove, sulla prima puntata inventai la corrispondenza a cui rispondere. Dopodiché fui sommersa da una valanga di lettere. La tiratura del giornale aumentò vertiginosamente visto che non solo gli omosessuali nascosti lo compravano, ma anche gli etero scoprirono questo mondo che incuriosiva, che divertiva. Perché prendevo le cose sdrammatizzando. Anche se poi arrivavano lettere drammatiche, cercavo sempre di trovare una punta d’ironia, anche in me stesso e non solo in chi scriveva. Così l’editrice mi concesse più libertà ed inaugurai un altro spazio “Lo specchio di Adamo”, dove per la prima volta, in due pagine, c’erano le foto di ragazzi nudi, con lo slippino, come un  pin-up boy. Le fotografie erano di un giovane fotografo Roberto Iatti, un mio amico all’esordio.

Alessio Rano, che poi sposò Ornella Muti, fu uno dei modelli che posò con lo slippino. Addirittura la Banca Commerciale come omaggio ai clienti che avevano i più grandi depositi bancari, diede all’editrice i libretti degli assegni nominativi. Così diventai famosissimo e nel frattempo gli omosessuali cominciarono  a scoprire di non essere gli unici.


Marcella Di Folco
Questa rubrica durò fino al ’75 ed in tutto questo tempo gli omosex capirono di essere tanti e cominciarono a non vergognarsi. Così cambiò anche la mentalità dell’opinione pubblica. Da Torino, ci fu Angelo Pezzana che mi scrisse esprimendomi solidarietà e proponendomi di partecipare alla fondazione del Fuori! Gli risposi che andava benissimo ma che volevo continuare in un giornale eterosessuale, perché l’opera di liberalizzazione si poteva svolgere meglio così, anziché in un giornale o in un’associazione che sarebbe stata solo per gli interessati. Poi fu fondata l’Arcigay e man mano le discoteche eccetera. La prima discoteca di Roma fu il St. James. Ci venivano da tutta Italia. E adesso ce n’è una tale ondata che comincio a temere che poi si avveri la previsione delle “signore sirene”; e cioè che diventino talmente tante, le manifestazioni…A Bologna, per esempio, i gay sono al vertice della politica locale. Di recente, al consiglio comunale è stata nominata la mia amica Marcella Di Folco, che ha fatto il cambiamento di sesso a Casablanca un anno prima di me.





E quindi ho paura che poi ci sia una reazione contraria e che si avveri il finale del mio libro “le signore sirene”: che vengano sterminate tutte quante (risatina). Io mi auguro di no. Adesso vivo tranquilla e serena malgrado il mio mancato decesso. Ho lasciato l’ultima fatica letteraria che,per il momento, è stata la mia autobiografia pubblicata da Sperling & Kupfer, intitolata “La mia vita scandalosa”, presentata nell’agosto del 92 al Gilda, uno dei locali “In” di Roma. Poi, mi sono stancata di stare a Roma, visto che malgrado i miei interventi estetici e malgrado non dimostri l’età che ho, ( la carrozzeria è ancora in buono stato ma il motore ha fatto i suoi giri) mi sono stufata di stare a Roma e me ne sono tornata da tre anni nel mio paesotto natio nelle Puglie, con mia sorella ed i miei fratelli. Sono tornata alla pittura con dei quadri ispirati al Barocco, che pare trovino apprezzamenti dalle persone che se li prenotano. Ora c’è un’idea con Daniele Scalise (suggerita da lui, per la verità, di raccogliere tutta una serie di aneddoti tipo “Andreotti visto da vicino”, relativa appunto agli svariati personaggi che ho conosciuto.
 
 D. Parliamo  ora del momento in cui ti arrivò dall’Olanda il materiale di  Massimo Consoli. Ti ricordi esattamente come successe?


Come no. Dopo qualche settimana che avevo pubblicato la rubrica “il salotto di Oscar Wilde e Lo specchio di Adamo”, insieme all’altra corrispondenza, mi arrivò ciclostilata una lettera accompagnata da due righe firmata da un certo ( a me sconosciutissimo, allora) Massimo Consoli, con un resoconto delle sue iniziative a favore degli omosessuali in Olanda, con la preghiera di pubblicare.

Cosa che io feci. Invece di pubblicare la solita corrispondenza, quella settimana, quando ricevetti la sua lettera, la inserii senza alcun commento da parte mia. Anzi, mi sembra che aggiunsi due righe in cui dicevo che mi faceva piacere che Men fosse letto anche all’estero. Ma non pensavo veramente che tutto ciò potesse avere un seguito. Poi, invece, qualche anno dopo, quando Massimo tornò in Italia, mi telefonò, ci conoscemmo. E poi lui fondò l’OMPO’S al vecchio mattatoio, dove adesso c’è l’Alibi. E da allora è rimasta la mia amicizia con Massimo che ha dimostrato di essere valido, di lavorare tanto validamente ed intelligentemente per la liberalizzazione della condizione dell’omosessuale, per il Movimento, andando oltre il Movimento…

 D. Esattamente la lettera di Consoli cosa diceva?
 

Massimo Consoli negli anni '70
 
Conteneva dei ritagli di giornali, per lo più olandesi, con la traduzione in italiano, fatta da lui, con notizie sulla vita degli omosessuali da quelle parti. E in più, un programma vero e proprio compilato da Massimo per quello che avrebbe dovuto essere il Movimento che poi lui aveva intenzione di fondare.

Dopo che lo pubblicai, evidentemente essendo stato letto da persone come Angelo Pezzana, suscitò anche in loro l’idea. E da lì fu il seme che diede i frutti.

D. Dario Bellezza lo hai conosciuto? Come avrai letto sulla stampa, stiamo raccogliendo le firme e mobilitando l’opinione pubblica affinché gli sia riconosciuto il fondo Bacchelli.. 

Anche lui lo conobbi quando se ne occupò la stampa. Nel ‘72/73 mi mandò ( o lo fece la sua casa editrice) “Lettere da Sodoma”. Non è che feci una recensione, ma scrissi due righe di ringraziamento (perché oltre le lettere, sulla rubrica c’erano delle colonne telegrafiche in cui davo le risposte senza pubblicare la lettera come “ringrazio l’editore che mi ha inviato il libro di Dario Bellezza “lettere da Sodoma” che leggerò in compagnia di un pompiere perché la prudenza non è mai troppa (risatina), temendo una pioggia di fuoco.

Poi, lo conobbi personalmente. Devo dire la verità. Dario aveva una visione dell’esistenza molto diversa dalla mia che è sempre stata ottimistica mentre la sua era Pasoliniana, quindi molto pessimistica. E poi aveva un’intelligenza portata alla catastrofe. Non è che l’abbia frequentato molto, anche se ci siamo sempre rispettati reciprocamente. E adesso mi dispiace che stia male.

D. Sei d’accordo che possa usufruire del vitalizio Bacchelli?


Amanda Knering Dario Bellezza e Giò Stajano al Michelagniolo

 
Perché no, senz’altro. Ma tutti dovrebbero usufruirne, non credere che io navighi nell’oro. Attualmente, pur avendo guadagnato con il giornalismo, i miei quadri, il cinema, i libri..alla fine sono stati tutti lavori in nero, perché con la mia condizione di omosessuale, non venivo mai regolarmente inquadrato in una situazione contributiva. Quando arriverò a percepire nell’anno venturo la pensione sociale, penso che si aggirerà sulle cinquecentomila lire.
Intanto i miei fratelli e i miei quadri, mi aiutano.


Questa intervista finisce qui, caro Giò.   Grazie infinite per tutto quello che hai fatto, in tempi difficilissimi, da sola e senza l’aiuto di questo o quel partito, di questa o di quella associazione e senza finanziamenti pubblici,  per le/gli omosessuali e i transessuali di questo Paese.

 

http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/23/Festini_omosex_nel_1951_Roma_co_0_9601231712.shtml





 2009
 
DALLA DOLCE VITA AL CONVENTO

 

 

Ha attraversato mezzo secolo di storia italica e non si è fatta mancare proprio)  niente. Giò Stajano (per l’anagrafe oggi Gioacchina, dopo l’operazione a Casablanca nel 1982) è stato il primo omosessuale dichiarato negli anni cinquanta, un pioniere coraggioso o incosciente, dato il clima da caccia alle streghe della Roma democristiana con rigurgiti fascisti. A proposito, la mamma era figlia di Achille Starace, già segretario del Partito e potente gerarca di Mussolini. Lasciata la Puglia, ha trovato giovanissima la sua strada nella capitale che viveva il periodo d’oro della dolce vita: cronista di amori, scandali e feste nell’ambiente del cinema e dell’aristocrazia, protagonista di clamorosi tentativi di suicidio per amore di fedifraghi giovanotti, militari e sportivi, che l’avevano sedotta e abbandonata. In anni seguenti è stata titolare del Salotto di Oscar Wilde, la prima rubrica di posta del cuore gay, sul settimanale “Men” e autrice di romanzi (in via di prossima ripubblicazione) come Roma capovolta – condannato al rogo e alla censura – Meglio un uomo e Le signore sirene. Dopo la decisione di cambiar sesso, il periodo controverso come prostituta d’alto bordo e, ultimo clamoroso giro di boa, la conversione religiosa, agli inizi intrapresa per tornare sotto i riflettori e poi diventata una ragione di vita. A 77 anni Giò, tornata alle origini nel piccolo paese del Salento, ripercorre il suo percorso esistenziale nella biografia Pubblici Scandali e private virtù, scritta da Willy Vaira che le è amico e confidente dal 1988. Insieme hanno anche composto una raccolta di poesie e stanno ultimando un libro sulla sua svolta spirituale. La incontriamo a Firenze nell’ambito del Queer Festival in occasione della presentazione, organizzata da Bruno Casini, del volume: ci avevano messo in guardia sul suo carattere ombroso, ma la troviamo invece paziente e disponibile, desiderosa di farsi conoscere anche ai lettori più giovani.

 

Cosa ci dobbiamo aspettare dal libro di poesie che arriva in libreria in questi giorni?

 

Si intitola Esercizi d’amore, pubblicato come l’altro dall’editore Manni. E’ una raccolta di poesie a due voci; 22 sono scritte da me e altre 22 da Willy. Dalle Langhe al Salento è il sottotitolo, ma non ci sono solo riferimenti alla natura: parlano soprattutto d’amore.

 

Come vedi cambiata la nostra società in merito alla condizione omosessuale rispetto ai mitici anni sessanta e settanta?

 

Le cose sono cambiate sicuramente in meglio,c’è una libertà allora inimmaginabile. A Roma, ad esempio, non bisogna pensare che gli artisti, gli stravaganti e i gay potessero mostrarsi al di fuori del centro, via Veneto, via Margutta, piazza del Popolo. Appena arrivavi in periferia la situazione cambiava del tutto. Ne so qualcosa io che venivo apostrofata pesantemente. Ricordo uno “scontro” con alcuni maschi che mi urlarono l’insulto più scontato: non persi la calma e gentilmente chiesi loro cosa desiderassero. Quelli, spiazzati, si schermirono, rispondendo con impaccio che il “frocio” non era indirizzato a me. Io replicai di essere molto lieto che allora fosse rivolto a uno di loro, dato che pensavo di essere l’unico omosessuale – dichiarato – nella capitale. Rimasero basiti, senza alcuna reazione e girai i tacchi indisturbata.

 

Che ricordo hai dei problemi e dei quesiti che ti ponevano i lettori a cui rispondevi dalle pagine di Men?

 

Alcuni confessavano situazioni davvero drammatiche, altri volevano essere rassicurati di non esser gay pur raccontando storie che non lasciavano ombra di dubbio. Le mie risposte dovevano necessariamente sdrammatizzare o toccare i tasti del grottesco o dell’ironia. Indimenticabile è l’episodio successo a un lettore, commesso viaggiatore che, sorpreso da un nubifragio nella campagne della Calabria, trova rifugio presso la casa colonica di due fratelli contadini. Questi lo accolgono, lo rifocillano, gli danno abiti asciutti e predispongono un letto per la notte, dato che le condizioni meteorologiche sono ancora proibitive. Nel sonno avverte un forte dolore e si rende conto che uno dei due lo sta sodomizzando. Poi subentrava l’altro e così via a turno per tutta la notte, lasciandolo al mattino avvilito e stremato, con le sole forze per riguadagnare la strada verso la sua auto. Nei mesi seguenti continua a ripensare al fatto, scoprendo che la cosa non gli era poi così dispiaciuta. Legittimo dunque chiedermi se stava diventando gay Io gli risposi che per poterlo davvero aiutare dovevo rendermi conto personalmente di che razza di persone si trattasse, chiedendogli l’esatto indirizzo degli insaziabili calabresi. Stiamo pensando di raccogliere queste lettere, che ho conservato con cura, in un volume, per mostrare i primi segnali dell’Italia omosessuale che usciva dalle catacombe. Un pezzo della nostra storia che anche il presidente Nichi Vendola considera significativo.

 

Hai mai pensato che subire il fascino o innamorarti solo di presunti eterosessuali fosse un tuo limite e che nell’ambito di un tale rapporto una buona dose d’ipocrisia era inevitabile?

 

Non mi sono mai posta questo problema perché, sentendomi donna, i maschi eterosessuali erano il mio unico oggetto di desiderio. Certamente alcuni hanno approfittato di questa mia propensione, ma spesso ho avuto modo di pareggiare i conti con quelli che più mi avevano fatto soffrire.

 

Anche con le tue rivali non sei stata mai tenera, anzi, in alcuni casi, vendicativa. Adesso che le vedi con occhi di donna, ti sei ricreduta nei loro confronti?

 

No, il mio atteggiamento non è mutato. Mi contendevano l’oggetto amato, erano mie nemiche e le trattavo come tali.

 

Cosa pensi di quelli che sostengono che nonostante la repressione, la doppia vita e il disprezzo della società quei tempi fossero d’oro per l’omosessualità, considerando la scarsa disponibilità sessuale delle ragazze e il numero di giovanotti in cerca di soddisfazioni senza fare troppi distinguo?

 

Che dicono sciocchezze: la pressione sociale era tremenda, la censura implacabile non appena intravvedeva il pur minimo riferimento all’omosessualità. Nel mio terzo romanzo, Le signore sirene, fu necessario trasformare i protagonisti gay (veri esponenti della politica, dell’arte, dell’aristocrazia e dell’alta finanza) in infelici creature femminili.

 

Perché non hai mai aderito a una associazione o a una componente del movimento glbt?

 

Non mi piacciono gli eccessi, le carnevalate delle sfilate per il gay pride. Tutte quelle tette scoperte e quelle provocazioni gratuite. Sono sempre stata e sono tuttora nemica dei ghetti e di qualsiasi altra forma di divisione: vorrei che tutti fossero ugualmente uguali.

 

E il tuo parere sulla condizione del transessuali in Italia?

 

Di passi in avanti ci sono stati, la prostituzione non è più l’unico sbocco possibile e questo è positivo. Negativa è invece la sovraesposizione mediatica di alcune, una per tutte Vladimir Luxuria, che alla causa non porta proprio niente. E’ troppo comodo tenersi il pisello e voler essere considerata donna.

 

In fatto di esposizione mediatica, di smania di essere al centro dell’attenzione, anche tu in passato non scherzavi…Come ti sei sentita nel ritrovarti davanti alle telecamere?


Si è rivelata una grande delusione. Sono stata invitata da Magalli, da Rispoli e da Bonolis. Chi più, chi meno, hanno travisato volutamente lo scopo per cui ero andata, il trasmettere un messaggio cristiano, il far conoscere al pubblico la storia della mia conversione religiosa, l’esperienza nella comunità religiosa delle suore di Betania del Sacro Cuore. Invece hanno tirato fuori il solito bagaglio della dolce vita, gli scandali e la parte di me che, senza rinnegarla, non mi corrisponde più. Mi sono molto risentita e credo che non ripeterò l’errore.

 

E’ bello e commovente l’episodio che nella biografia racconti su papa Giovanni. Ma alla luce della tua fede che impressione hai dell’attuale papa e di come si è espresso sulle unioni civili, il rifiuto di depenalizzare la condanna a morte per omosessualità e, ultima, la negazione del transgender?

 

Non condivido affatto queste esternazioni da parte di quello che io chiamo “la Wanda Osiris del Vaticano”. Voglio bene ai miei amici gay e non vedo perché le loro unioni non debbano essere tutelate. Riguardo poi al gender, ti rivelo un piccolo scoop: leggendo il Vangelo secondo Matteo (18-19) ho trovato questa citazione di Gesù ai discepoli, in merito alla condizione dell’uomo rispetto alla donna e al matrimonio: “Non tutti comprendono questa parola, ma soltanto coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati tali nel seno materno, vi sono eunuchi che sono stati fatti eunuchi dagli uomini e vi sono eunuchi che si sono fatti eunuchi da se stessi, per il regno dei cieli. Chi può capire capisca”.

 

Giò, per finire, un rimpianto circa il passato e un proponimento per il futuro.

Il rimpianto è quello di aver fatto indirettamente soffrire la mia famiglia, mia madre soprattutto, per le tante intemperanze che avevano poi una ricaduta negativa sulla loro vita sociale. Il proponimento a breve è quello di finire il prossimo libro con Willy e più in generale di aspettare in serenità l’ultimo giorno, quando dirò al Signore: “Ecco, sono qui, prendimi con te”.

 

PRIDE febbraio 2009  Mario Cervio Gualersi

 

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