UNIONI CIVILI OMOSESSUALI E MATRIMONIO EGUALITARIO

                                              WORK IN PROGRESS








                                       1979



                 
una lettera arrivata a
lambda  e pubblicata sul n.13 gen/feb 1979


Siamo due compagni che stanno assieme da sette anni.


Molti gay ci dicono che la nostra è una situazione privilegiata, altri, invece, arricciano il naso e ci accusano di riproporre la coppia borghese ed eterosessuale, semplicemente perché stiamo insieme.

Siamo d’accordo che, sul piano affettivo, lo stare assieme sia una situazione di privilegio, soprattutto se rapportato alla ‘norma’ omosessuale, che prevede incontri fugaci in giardinetti, cinema e discoteche. Quello che vogliamo dire è che non si tratta di un privilegio piovuto dal cielo, ma costruito giorno per giorno, con discussioni, beghe (quanti piatti fracassati!) e continui confronti con la realtà circostante.

In questo caso, più che di confronti si può parlare tranquillamente di scontri a differenza dell’omosessuale solo, che si può facilmente relegare nei margini consentiti (ancora una volta cinemini e discoteche), una coppia omosessuale, dichiarata, occupa spazi non previsti e scombina quel nucleo basilare della società che è la famiglia, proponendo uno stare insieme diverso e inquietante. Una coppia gaia, che non voglia ricalcare gli schemi della coppia “normale” giustamente in crisi, deve inventare giorno per giorno il suo comportamento, specialmente se deve lavorare per vivere e quindi è obbligata a calarsi nella realtà dei colleghi  di lavoro, degli amici, dei negozi dove fare la spesa e delle vicine di casa, che ti guardano sbattere le lenzuola (matrimoniali!). Non ci sono punti di riferimento, a parte le lunghe interminabili, discussioni con i compagni gay politicizzati o consci della loro situazione, o la preziosa amicizia con quelle donne coraggiose che devono inventarsi, anche loro, una vita fuori dagli schemi maschilisti.

Tutto questo non basta, e non basta, principalmente, la scarsa disponibilità degli omosessuali, per quello che ci riguarda, quelli non politicizzati sono assorbiti dal sesso, mentre gli altri rischiano di far sfociare nel fatalismo totale le loro difficoltà esistenziali.

Data questa situazione, noi rischiamo di condizionare i nostri rapporti con tutto il movimento: ci troviamo, infatti, sempre più spesso e sempre meglio, con persone eterosessuali (com’è brutta questa parola, ma un’altra non ce n’è?) in crisi, che vogliono discutersi/ci.

Non siamo molto convinti che ciò sia una buona cosa: la condizione omosessuale ha ancora una specificità  ben lungi dall’essere superata ed è per questo che vogliamo, nonostante tutto, stare con gli altri gay, discutere con loro, inventare nuovi modi per uscire dal ghetto.

Eravamo andati a Bologna anche per discutere della nostra situazione, della coppia omosessuale,del nostro disagio ma la frammentarietà degli interventi e la nostra timidezza ce lo hanno impedito.

Neppure siamo riusciti a metterci in contatto con altre coppie omosessuali per confrontare le nostre esperienze. Vorremmo allora, su questo giornale, lanciare una discussione sulla coppia omosessuale, o su altre forme di associazioni gaie (qualcuno a Bologna parlava di comuni gaie, come è andata a finire?). Vorremmo anche che qualche altra coppia omosessuale si mettesse in contatto con noi.

Ciao, abbracci   Vittorio e William   TRENTO –

 



 






  
                                    1981
 

1981

28 dicembre

 

Doriano Galli, uno dei più anziani militanti del movimento italiano, riesce a farsi approvare la prima convivenza legale del nostro Paese con Patrizio Marseglia. Contemporaneamente otterrà il primo stato di famiglia tra due uomini conviventi “more uxorio”, in base alle legge 182, art.8 del 23 marzo 1956, con il godimento di tutti i diritti legali derivanti da tale situazione giuridica.

Nella sua battaglia, Galli, viene aiutato dall’avv.to Simonetta Massaroni, dall’on. Adele Faccio (Radicale) e dal sindaco di Roma, Ugo Vetere.

 

1988

21 gennaio

 

Dopo essersi separato dal primo partner, Doriano Galli “contrae nuova convivenza legale” con Pino Cavallo. Il caso è clamoroso perché dimostra che  “mentre i vari movimenti gay italiani si accaniscono per avere una legge sulle convivenze civili, questa legge già c’è: basta chiedere che venga applicata”. Galli lo chiede, ed il cancelliere della Pretura di Roma riconosce la sua convivenza “more uxorio” con Cavallo ed il 28 maggio successivo il Comune di Roma accetta la sua “domanda di partecipazione al Bando per la categoria Famiglie di Nuova Formazione..per l’assegnazione ad equo canone ed a canone sociale di alloggi comunali”.

 

 

TRATTO DA BANDIERA GAY

Il movimento gay in Italia dalle origini al 2000 attraverso l’Archivio Massimo Consoli

Edizioni Libreria Croce 1999


                                                                          1993


proposta di legge sulle coppie gay

presentata in un convegno alla Casa della cultura organizzato dall' ARCI GAY

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ Presentata in un convegno alla Casa della cultura TITOLO: Proposta di legge sulle coppie gay - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Continua il dibattito tra i gay sul riconoscimento legale delle coppie omosessuali. Dopo la clamorosa celebrazione di una decina di matrimoni simbolici, "officiati" lo scorso anno in piazza della Scala dall' allora consigliere comunale Paolo Hutter, l' Arci gay ha organizzato ieri alla Casa della cultura di via Borgogna un convegno per presentare una proposta di legge sul tema. Una prima proposta era gia' stata preparata all' indomani della manifestazione milanese. Oltre a Franco Grillini, leader degli omosessuali italiani, era presente Bent Hampton, presidente della piu' importante associazione omosessuale della Danimarca, primo Paese ad aver adottato una legge che sancisce il diritto dei gay e delle lesbiche a vedere riconosciute legalmente le loro unioni. Durante l' incontro sono emerse due differenti correnti di pensiero. Da una parte quelli che auspicano un generale riconoscimento legale delle convivenze, siano etero od omosessuali, e dall' altra chi invece punta a una specifica legalizzazione delle coppie gay. Diversa anche la valutazione sulla necessita' o meno della convivenza per ottenere un riconoscimento civile. La proposta di legge dovrebbe approdare in Parlamento nei prossimi mesi e gia' i responsabili dell' Arci gay, attraverso una serie di sondaggi, stanno studiando come vincere le resistenze di certi settori della societa' . Paolo Hutter, intanto, propone che le amministrazioni comunali anticipino la legge con la realizzazione immediata di un "registro provvisorio per le coppie gaie". Un primo passo verso la definitiva ufficializzazione. Sottolineando che dal 1989 a oggi in Danimarca oltre 2400 persone hanno usufruito della legge sul riconoscimento delle coppie gay, Bent Hampton ha spiegato come nel suo Paese sia oggi di grande attualita' anche il dibattito sull' introduzione di una legge per l' adozione di bambini da parte di coppie omosessuali.

 

Pagina 39
(30 maggio 1993) - Corriere della Sera

 


                                                                        1994

Anche da noi il matrimonio tra "omo" sarà legale

IO VI DICHIARO MARITO E MARITO

A Roma un registro per le unioni civili. E poi case popolari, tutela sul lavoro, adozione di figli..I gay stanno conquistanto parità di diritti. Anche grazie al Parlamento Europeo.

di Claudio Lazzaro

Via Ostiense 202, Roma. Pochi chilometri dal cupolone di San Pietro. E' qui, nella città del Papa, che si sta compiendo la rivoluzione gay. In questi uffici adibiti da tempo a consultorio per l'aids lavora Vanni Piccolo, preside della scuola media "Camilla Ravera", nella borgata Castelverde, nonché delegato comunale per le questioni omosessuali. Grazie all'impegno del professor Piccolo e del sindaco Francesco Rutelli, presto i gay a Roma potranno sposarsi. O, meglio, il Comune riconocerà nello stato civile le loro convivenze, in un apposito registro che solo due comuni d'Italia, finore, avevano avuto il coraggio di creare: Cogoleto (provincia di Genova) ed Empoli (provincia di Firenze). "Sì, è una rivoluzione nel costume" ammette soddisfatto il preside Piccolo. E racconta "A Rutelli avevamo chiesto un incontro durante la campagna elettorale. Lui ci mostrò subito molto interesse, molta disponibilità. Ma il bello è che adesso sta mantenendo le promesse!".

Ma la carica esplosiva della decisione di Rutelli va ben oltre la capitale. Sì perchè galvanizzati dalla vittoria romana, gli esponenti omosessuali hanno capito che è il momento di chiedere di più a livello nazionale, soprattutto in vista delle elezioni del 27 marzo. Sicché Franco Grillini, il leader dell'Arcigay, ha indirizzato a tutti gli esponenti del tavolo progressista un pacchetto di richieste da trasformare in legge, come il riconoscimento formale dei matrimoni civili, e un considerevole aumento dei fondi per la lotta all'aids. Finora, impegnati nelle difficili trattative pre-elettorali, le sinistre non hanno dato risposta, ma la comunità omosessuale italiana è in ottimistica attesa: come in America, ormai costituisce una lobby che può donare o negare voti decisivi ai candidati nei collegi uninominali. Da Roma all'Italia, dall'Italia all'Europa: la battaglia dei gay sembra in questi giorni vincente anche al Parlamento di Strasburgo, che ha appena approvato una risoluzione per far gradualmente sparire, in tutti gli Stai della Ue, ogni distinzione di fronte alla legge fondata sull'orientamento sessuale. Il che, tradotto, significa: tutti i Paesi europei dovranno con tempo riconoscere alle coppie gay la possibilità di sposarsi, adottare bambini, e godere di tutti i diritti delle famiglie normali.

Una votazione, quella di Strasburgo, che ha visto la dura opposizione del gruppo democristiano e che ha fatto felici gli attivisti del movimento gay: " E' perfino più di quanto speravamo", commenta il consigliere comunale milanese Paolo Hutter, decano delle battaglie omosessuali (ha celebrato, tra l'altro, un matrimonio "multiplo" tra dieci coppie "gay"in Piazza Scala).

"In pratica il Parlamento europeo ha stabilito che una coppia gay debba essere equiparata in tutto e per tutto a una coppia etero". Indipendente nelle liste del Pds, Hutter fa capire che si batterà perchè l'Italia sia il primo Paese a recepire la risoluzione approvata a Strasburgo. Insomma, la seconda metà degli anni Novanta vedrà il processo di emancipazione gay passare dai cortei ai riconoscimenti formali, dal folclore alle proposte di legge. E la Seconda Repubblica italiana potrebbe diventare, se vinceranno le sinistre, il laboratorio di questa piccola rivoluzione libertaria.

"Ma una volta raggiunti i nostri obiettivi, frena Vanni Piccolo, la situazione non cambierà, se non riusciremo a trovare il coraggio di uscire alla luce del sole. Se ti presenti per quello che sei, in modo chiaro, la gente è disarmata. E' questo l'unico modo per togliere alla società il piacere di stanarti, il gusto sadico della caccia al diverso". Giovanni Dall'Orto, autore di Manuale per coppie diverse, appena pubblicato dagli Editori Riuniti, sostiene che in Italia ancora oggi, nonostante la tutela sindacale, molti omosessuali vengono licenziati soltanto perchè tali. "Il datore di lavoro non deve nemmeno cacciarli", spiega Dall'Orto, "altrimenti il pretore li reintegrerebbe". Per liberarsi di un lavoratore omosessuale basta ricattarlo. Se non te ne vai, io faccio circolare in tutto il paese la voce che sei un frocio. Ed è fatta". Ma è proprio nel campo sindacale che gli omosessuali italiani hanno dissotterrato l'ascia di guerra. Massimo Mariotti, giovane bancario milanese, responsabile delle politiche omosessuali per la Cgil, ha suscitato scalpore rivendicando il diritto alla luna di miele gay, "Io non ho fatto altro ch chiedere l'estensione del congedo matrimoniale alle coppie, di qualsiasi genere, che decidono di affrontare la convivenza", spiega Mariotti. "Si tratta di riconoscere alle famiglie di fatto, etero o gay, tutte le agevolazioni previste dai contratti di lavoro". Mariotti è riuscito a inserire queto punto nelle piattaforme nazionali di ben quattro contratti: credito, assicurazioni, metalmeccanici e chimici. Ma è ancora più orgoglioso di essere riuscito a far discutere sindacati e datori di lavoro su un altro punto fondamentale. "Vogliamo estendere ai gay la legge sulle pari opportunità tra uomini e donne, soprattutto dove stabilisce che dev'essere il datore di lavoro a dimostrare che non c'è stata discriminazione sessuale". Questo principio, cioè l'inversione dell'onere di prova, è nato per garantire le lavoratrici che in fabbrica, dopo aver subito una discrimninazione sessuale, non riuscivano a trovare chi testimoniasse in loro favore. Ma è giusto mettere un maschio omosessuale sullo stesso piano di una donna, in materia di molestie sessuali e discriminazioni? Sì, secondo una sentenza su cui la Corte costituzionale è stata chiamata a deliberare. A Milano, nella toilette di una pizzeria, due giovani agenti di polizia hanno raggiunto, al termine di un pedinamento, un grazioso omosessuale. Poi hanno bloccato la porta, lo hanno obbligato ad una duplice fellatio e hanno tentato, senza riuscirci, di sodomizzarlo. Ricoverato in ospedale il malcapitato ha trovato il coraggio di sporgere denuncia. Ora la Corte deve decidere se l'articolo 523 del Codice Penale (atto a fine di libidine) sia applicabile anche quando è un uomo a subire la violenza.

La violenza contro gli omosessuali è diffusissima e sommersa, dice Davide Barba, docente di filosofia del diritto all'Università di Napoli che, assieme a un gruppo di giuristi napoletani, ha scritto un Manuale di Autodifesa pubblicato dall'Arci, "Sono violenze che non vengono denunciate, per paura di esporsi come omosessuale. Dichiararsi qui a Napoli, può volere dire perdere anche l'ulitmo straccio di lavoro". E il professor Barba racconta di un ragazzo, un lavapiatti abusivo, che pochi giorni fa è stato licenziato: "Perchè se poi ti tagli, ci contagi con l'Aids tutti quanti, gli hanno detto".

Eppure anche a Napoli il vento sta cambiando due settimane fa il Consiglio comunale ha approvato con la sola astensione del Movimento Sociale, l'istituzione di un osservatorio sulle violenze a sfondo razzista e sessuale, che verrà utilizzato anche dagli omosessuali. Un altro colpo di piccone al vecchio muro, Come gli ordini del giorno con cui i Comuni di Bologna, Milano e Genova hanno interpretato la legge sull'assegnazione delle case popolari, estendendo il diritto alle coppie omosessuali. Un diritto più formale che sostanziale dal momento che i punteggi favoriscono le famiglie numerose, ma che ha scatenato la bagarre negli ambienti della destra clericale. Per non parlare delal Lega Nord celodurista che, nel dibattito al Comune di Milano, accecata dall'odio per i gay, non si è accorta che alla fine, nell'assegnazione dei punteggi, ha vinto lo straniero (15 punti se sei un extracomunitario, soltanto 5 se sei un milanese).

A le obiezioni alle nuove conquiste degli omosessuali sul piano dei diritti civili non vengono soltanto da ambienti retrivi. Il sociologo Sabino Acquaviva ha recentemente criticato la rivoluzionaria direttiva del Parlamento Europeo sostenendo che un bambino adottato da una famiglia gay non avrebbe, sul piano psicologico e sociale, le stesse opportunità di un bambino allevato in una famiglia classica. Gli mancherebbe il modello "maschio-più-femmina" e verrebbe traumatizzato a scuola dagli schermi degli altri bambini. A proposito della possibilità rivendicata da donne singole, a volte lesbiche, di crescere un bambino, altri hanno fatto notare che in America la causa principale di violenza è proprio la famiglia disgregata, in cui un genitore, quasi sempre la madre separata , si trova da solo ad allevare i figli. Argomentazioni che vengono smontate da Brett Shapiro, giornalista americano residente a Roma, autore di un libro sulla storia del suo amore col giornalista Giovanni Forti, L'intruso, pubblicato lo scorso settembre da Feltrinelli. Shapiro cinque anni fa in Texas, pur essendo singolo e gay, ha potuto adottare un bambino mezzosangue. Shapiro ora vive con un nuovo compagno che, a sua volta, ha in adozione un figlio oramai quindicenne. Una famiglia che sembra la perfetta attuazione della "scandalosa" direttiva della Ue.

Rimane aperta la domanda: è realistica la prospettiva aperta dal Sindaco di Roma e dal Parlamento europeo? I gay sapranno rinunciare alle abitudini pericolose (come il sesso con sconosciuti, indiscriminato e suicida, nelle dark room), per trasformarsi in buone madri e padri di famiglia? Giovanni Dall'Orto, che vive da dodici anni felicemente con lo stesso compagno, è sicuro di sì: "Gli omosessuali vanno contro corrente. Proprio nel momento in cui la vecchia famiglia classica eterosessuale si avvita e precipita, noi convergiamo verso la famiglia nuova, più solida quanto più aperta e variegata".

Qualche riserva giunge invece dal campo lesbico: "Come donna, quando sento parlare di famiglia mi spavento", dice Deborah Di Cave, vice presidente del circolo culturale Mario Mieli di Roma, "Credo che dovremmo rimettere in discussione il concetto di famiglia basato su due persone che si amano. Non c'è bisogno del vincolo sentimentale perchè due individui, alleati nella vita, chiedano il diritto a ereditare e alla reversibilità della pensione, agli alimenti, all'assegnazione di una casa". La tesi futuribile espressa da Deborah Di Cave complica ulteriormente il quadro della situazone e ripropone l'interrogativo che Claire Bretecher, la gratificante disegnatrice satirica francese, metteva in bocca a uno dei suoi personaggi:" L'uomo nuovo sarà un omosessuale convertito, o una lesbica mancata?".

Europeo 23 febbraio 1994
 

                                    2005


Cacciari: nessuno pretenda di dire che un amore è soltanto un
capriccio

da la Repubblica del 6 luglio 2005

"Marcello Pera ha perso un'ottima occasione per tacere. Perchè si può
discutere sull'opportunità di varare leggi di tale impatto emotivo
senza un adeguato dibattito. Ma è intollerabile tacciare di pura
concupiscenza una coppia gay che vuole sposarsi, o parlare di un
capriccio. E' fondamentalismo."
Massimo Cacciari, filosofo e sindaco di Venezia, interviene ai
microfoni della web radio di Repubblica: attacca il presidente del
Senato, ma critica anche il governo Zapatero. "Ognuno di noi è libero
di giudicare una legge o un atteggiamento, così come un libro. Ma
come si può pretendere di entrare nel merito di un comportamento che
riguarda il cuore di una persona? Come si fa a dire se è capriccio o
amore profondo?"

Tuttavia, secondo lei, la Spagna avrebbe fatto meglio ad arrivare in
modo graduale ai matrimoni gay?

"Certo. Non sono questioni da risolvere a colpi di legge. Devono
essere il prodotto  di una lunga maturazione. Sono temi che arrivano
a sconvolgere costume e tradizioni secolari, quindi non possono
essere affrontati con colpi di teatro. Io al posto di Zapatero mi
sarei comportato diversamente".

Alcuni manifestano una perplessità: perchè i gay, per affermare i
loro diritti, spesso esibiscono in maniera plateale la loro diversità?

"Perchè devono riuscire a spezzare la tradizione. E' naturale che un
movimento con questo obiettivo appaia sgraziato. Può dispiacerci, ma
dobbiamo riconoscere realisticamente che i movimenti di rottura sono
così e sono sempre stati così. Alla nascita siamo bruttini. Tutti".
(l.p.)
 

 



Audizione dell’avvocato Marina Marino, presidente dell’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti



6 ottobre 2005 ·

CAMERA DEI DEPUTATI – XIV LEGISLATURA
Resoconto stenografico della II Commissione permanente (Giustizia)
Seduta del 22 giugno 2005


Indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà.

Audizione del’avvocato Marina Marino, presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti.

(Fonte: www.parlamento.it)

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIER PAOLO CENTO

La seduta comincia alle 9,10.

PRESIDENTE. ‘ordine del giorno reca, nel’ambito del’indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà, ‘audizione del’avvocato Marina Marino, presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti.
Ringrazio ‘avvocato Marino per la sua presenza in questa Commissione e le do subito la parola per la sua esposizione.


MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. La giurisprudenza ha tentato più volte di affrontare il tema in esame ma senza grandi risultati, salvo alcune affermazioni di principio importanti indicate dalla Cassazione fin dal 1993. Quindi, salutiamo con grande soddisfazione il fatto che il nostro legislatore si stia occupando di un tema che più volte è finito nelle aule di giustizia senza riuscire a trovare alcun esito al di là di affermazioni di principio come quella espressa dalla Cassazione nel 1993.
Oggi si assiste a un tentativo di regolamentazione attraverso numerosi progetti che sono stati presentati, dopo che anche ‘Unione europea ha espresso alcune raccomandazioni (che in molti Stati sono già state accolte) riguardanti la necessità di dare garanzie e regolamentazione al tema in esame.
Le modalità con cui può essere affrontata questa materia sono sostanzialmente due (si ritrovano anche nei diversi progetti pendenti in Parlamento). Si tratta, da un lato, di regolamentare le unioni per il solo fatto che esistono, quindi, ribaltando le norme che riguardano il matrimonio, intervenendo in favore delle unioni di fatto, dal’altro, di approntare progetti di legge che abbiano come obiettivo quello di riconoscere un patto di civile convivenza tra persone che decidono di vivere insieme.
Il problema di maggiore difficoltà rimane, comunque, quello relativo alle coppie omosessuali, per le quali, però, va ricordato che esiste una raccomandazione del’Europa precisa e chiara al riguardo.
Vorrei ora fare un richiamo alle discriminazioni che esistono tra i figli cosiddetti legittimi e quelli naturali. Innanzitutto, ritengo che sarebbe ora di abolire le differenze che ancora esistono, al di là di quanto si crede, fra queste due figure o tipologie di figli; si tratta della differenza caratterizzata dal’aggettivazione accanto alla parola «figlio». Infatti, tale semplice aggettivazione – figlio «legittimo» o «naturale» – è già, di per sé, una discriminazione contro la quale è necessario battersi. Quindi, inizierei con il domandare al legislatore che questa aggettivazione venga eliminata perché ciò si traduce in una discriminazione di fatto.
Per quanto riguarda ‘associazione che rappresento (salvo, poi, un ulteriore esame delle norme al vaglio del Parlamento) la nostra scelta va verso quel’istituto che, in Francia, è dominato PACS, cioè, un patto di solidarietà civile (così come si rinviene in alcuni progetti presentati). Seguiamo, quindi, una scelta di intervento secondo ‘individuazione di garanzie che debbono darsi sia per le coppie, sia, soprattutto, per i figli.
Ritengo sia ora necessario sottolineare alcuni problemi che mi preme richiamare alla vostra attenzione. Si tratta della necessità e possibilità di chiarire un fatto che si ritrova in modo abbastanza uniforme in tutti i provvedimenti, per cui è necessario intervenire in modo specifico, al di là degli aspetti relativi ai figli cui ho appena accennato.
Si tratta del problema relativo alle successioni (il nostro lavoro ci porta a verificare quali sono gli aspetti che maggiormente colpiscono i cittadini), della necessità di stare vicino al convivente in caso di malattia grave e, da ultimo, del problema relativo ai beni patrimoniali. In particolare, con riferimento a ques’ultimo, basti pensare alla possibilità, data ai soli figli legittimi, di liquidare la parte di patrimonio dei loro fratelli o sorelle «naturali» in caso di successione (in pratica, la volontà dei primi di procedere alla messa in liquidazione di uno o più beni prevale su quella dei secondi di opporsi.)
A questo punto, è utile ricordare che nel 1993 la Cassazione ha considerato come legittimi gli accordi tra conviventi in previsione della cessazione della convivenza (mi viene in mente che la Cassazione, per quello che riguarda i coniugi, ha poi sempre negato la possibilità degli accordi in previsione del divorzio ma questo è un altro discorso).
Ciò sta a significare che, da sempre, la cultura giuridica riconosce la possibilità ai cittadini di regolamentare i propri rapporti tramite accordi. Ciò premesso, il PACS è, secondo noi, lo strumento con cui si consente, intanto, una conoscenza diretta ai cittadini di questa situazione nel senso che troviamo assurdo il fatto che, ad oggi, il nostro paese riconosca la convivenza sotto il profilo legislativo soltanto in u’occasione, cioè, quando si tratta di effettuare delle visite a un detenuto da parte del convivente. È un caso abbastanza singolare perché il legislatore sembra essersi preoccupato di riconoscere la convivenza soltanto sotto questo aspetto che ho appena ricordato, il che fa sorridere (forse, pensava che i conviventi sarebbero stati quelli più soggetti a provvedimenti restrittivi della libertà; altrimenti, non si spiega perché non si è mai occupato della questione in altre occasioni).
Di questo aspetto, si è occupata la Corte costituzionale, in una sentenza del 1988, quando ha dichiarato ‘illegittimità di una norma che impediva la prosecuzione del contratto di locazione in capo al convivente. Addirittura, fino a quel momento, sempre a proposto di discriminazione nei confronti dei figli, neppure i figli naturali avevano il diritto di succedere nel contratto.
Mi pare che nei progetti al vostro esame venga fatta giustizia di tutta questa situazione, ma ribadiamo che ‘aspetto al quale teniamo particolarmente riguarda ‘eliminazione delle discriminazioni sotto ogni profilo nei confronti dei figli.
Le prime volte che ho parlato di discriminazione nei confronti dei figli mi sono sentita aggredita da coloro che rivendicavano il fatto che la legge sul diritto di famiglia le aveva abolite tutte. Ora, la legge sul diritto di famiglia è, a mio giudizio, una delle più belle leggi che siano state fatte dal nostro legislatore. Essa ha dei meriti enormi, come quello di aver adeguato alla Costituzione le norme che riguardano i rapporti familiari: sicuramente, però, non ha abolito tutte le discriminazioni. Tale legge ha contribuito a fare un primo passo in avanti, nel senso che non è stato più consentito parlare di figli illegittimi (questa, mi pare già una grande conquista). Ora, però, è necessario fare un successivo passo. Non si può più discriminare tra figli specificando con aggettivi qualificativi la loro posizione.
Tra le proposte in discussione, sono interessanti quelle che riguardano il riconoscimento del’esistenza di una convivenza che, per scelta delle persone, viene portata davanti al sindaco per essere riconosciuta secondo modalità che, alcune volte, sono predeterminate da norme le quali potrebbero essere anche di dettaglio. Come associazione, intendiamo impegnarci per far sì che le persone sappiano che, in determinate questioni, è possibile regolare i propri rapporti in maniera ulteriore rispetto a quanto stabilito dalle norme. Le norme devono infatti offrire un minimo di base comune a tutti ma poi, se i cittadini intendono compiere determinate scelte, ciò deve essere loro consentito. Per esempio, se in caso di successione, per una scelta che può essere condivisibile o meno, oggi non è previsto il pagamento di imposte, tali imposte non devono esistere più neanche tra i conviventi e nei confronti dei figli di questi ultimi.
Infine, un ulteriore problema che vorrei segnalare attiene alla necessità di prestare una particolare attenzione rispetto alle modalità di interruzione della convivenza. Ritengo che si debba operare una sorta di separazione dei conviventi. È necessario, però, chiarire questo punto. La scelta di cessare la convivenza può essere unilaterale (ho visto che sono previste varie modalità nei diversi progetti di legge); tuttavia, mi interessa ribadire la necessità che per tutte queste vicende (anche nel’ipotesi di un contrasto fra le due parti in ordine al’esecuzione dei vari impegni e obblighi reciproci discendenti dal rapporto) si faccia riferimento, comunque, alla giustizia ordinaria per il rispetto e ‘applicazione delle norme previste.
Sottolineo questo punto non tanto perché siamo preoccupati nello specifico ma per un atteggiamento generale di sottrazione alla giurisdizione di temi che sono tipici della stessa. Non possiamo declassare, come si è fatto per molti anni nei confronti dei minorenni, i diritti dei cittadini, la cui composizione, ove ci siano dei contrasti, deve avvenire nei tribunali.
‘è, invece, un tentativo di declassamento di questi diritti a meri interessi, quindi, ad una amministrativizzazione della situazione. Ciò non è ammissibile, né condivisibile perché i cittadini hanno il diritto di vedere decise le loro questioni da un tribunale con le garanzie del diritto di difesa e quan’altro.


PRESIDENTE. Ringrazio ‘avvocato Marino per la sua esposizione. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire.

GIULIANO PISAPIA. È stata richiamata la sentenza della Cassazione del 1993; mi domando se sul riconoscimento di un accordo tra i conviventi, nel rispetto di un patto – di un contratto – tra essi, in caso di separazione ci sia una giurisprudenza di merito. Ci sono dei contrasti su questo tema?

MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Ce ne sono parecchi!

GIULIANO PISAPIA. Sì, ma vanno nel senso di questo indirizzo?

MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. La sentenza della Cassazione è importante perché è una delle poche che è riuscita ad affrontare la questione in questi termini. Infatti, i tentativi di proporre tali questioni, per lo più, non hanno consentito questa scelta perché il più delle volte sono stati presentati ricorsi in materia di lavoro, presi, a mio giudizio, da un capo sbagliato. Sono state presentate una serie di cause di lavoro nelle quali, in genere, un convivente faceva causa al’altro per ‘attività espletata negli anni della convivenza. Ciò non è condivisibile: sotto il profilo del principio è totalmente inaccettabile presentare la convivente come una sorta di cameriera non pagata. Comunque, se la giurisprudenza al riguardo è stata negativa, ci sono dei casi in cui il problema è stato posto sia al tribunale ordinario, con una richiesta di applicazione in via analogica delle norme relative al mantenimento e alla separazione (ma queste sono state dichiarate inapplicabili), sia sotto il profilo appena ricordato, che era particolarmente sbagliato.
Quella sentenza della Cassazione cui ho fatto riferimento, parte, invece, da una causa iniziata sulla base di un accordo stretto tra i conviventi al momento del’avvio della convivenza. Si trattava di una sorta di accordo prematrimoniale – di preconvivenza – che doveva trovare applicazione laddove la convivenza fosse venuta meno. La Cassazione ha ritenuto la liceità, la legittimità e la validità di tutti quegli accordi, che prevedevano, tra ‘altro, per esempio, la costituzione di un comodato del’immobile in cui i conviventi vivevano a favore di uno dei due.
Quindi, questa sentenza della Cassazione ‘è stata – è una delle poche – perché, innanzitutto, è estremamente difficile che i conviventi stipulino prima del’inizio della convivenza un accordo. Se, infatti, i conviventi facessero ciò, sarebbe lasciata alla loro capacità di accordo e alla loro volontà di tutelare o meno (a seconda della forza dei contraenti al momento della convivenza) una certa situazione ogni passaggio futuro. Comunque, un accordo di tal guisa, sarebbe tuttora ritenuto valido dalla Cassazione perché ‘orientamento della Corte in proposito non è cambiato.


GIULIANO PISAPIA. Secondo me, ciò che è avvenuto dopo il 1993 dimostra la necessità di intervenire in questo campo perché si ha già una giurisprudenza che ha preceduto il legislatore.
‘altro aspetto che è stato sottolineato e su cui mi interessa ricevere un ulteriore commento di approfondimento riguarda una delle obiezioni che viene mossa rispetto a una situazione che noi consideriamo ingiusta; nel caso di assistenza al malato o di decisioni in sua vece quando questi non sia più in grado di farlo, viene privilegiato il familiare o il figlio legittimo. Anche nel corso di una precedente audizione, secondo la testimonianza di uno degli auditi, si ribadiva il concetto per cui molti trovano assurdo il fatto che la volontà del convivente possa prevalere su quella del figlio legittimo, rispetto a scelte che potrebbero riguardare la sopravvivenza o meno del malato.
Sotto questo profilo, che tipo di riflessione ‘è stata? Esiste una soluzione che può essere equilibrata e contemperare le due esigenze?


MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Ritengo che non sia possibile operare, rispetto a questo tipo di situazioni, una graduazione tra soggetti che abbiano a dire sulla terapia da seguire, sulle scelte terapeutiche o sulla semplice visita. Vi sono situazioni non infrequenti nelle quali al momento della malattia di uno dei conviventi – ovviamente, mi riferisco a malattie gravi – il convivente, per ‘opposizione della famiglia di origine del’altro, non riesce neppure ad arrivare a parlare con i medici in ospedale, perché magari questi si rifiutano di parlare o dare comunicazione al convivente. Questo fatto mi pare veramente inaccettabile: si tratta di una graduazione di sentimenti per cui sarebbe migliore e più tutelabile il sentimento del figlio piuttosto che quello del convivente.
Quindi, mi rendo conto che è una situazione di difficile soluzione; tuttavia, sotto il profilo tecnico-giuridico non vedo come possa essere riconosciuta al’uno piuttosto che al’altro una possibilità di esclusione.
Un tema sicuramente più difficile attiene alle scelte terapeutiche. Ciò che, comunque, ritengo inaccettabile è la possibilità che ‘uno o ‘altro convivente possa escludere dalla vicinanza e dalla assistenza della persona malata il figlio o chicchessia. Questo è un principio umanitario minimo e non ‘è alcuna norma di diritto che consenta di fare una scelta di questo tipo!
Un argomento più difficile è invece quello della scelta terapeutica che, a mio personale giudizio, è risolvibile soltanto con il testamento biologico delle persone. Tra ‘altro, spesso e volentieri non siamo di fronte a situazioni di incapacità. Ci sono anche queste ma si tratta di altre questioni.
In questo ambito, va quanto meno chiarita la necessità di impedire che vengano compiute delle azioni di esclusione da parte di alcuni perché non ‘è alcuna norma che consente ciò; sarebbe contrario ad ogni minimo sentimento civile.


FRANCO GRILLINI. Sono particolarmente interessato da ciò che avviene dentro le aule dei tribunali perché quello della convivenza è ormai un fenomeno di massa, come dimostrano i dati ISTAT, peraltro, assolutamente imprecisi. A questo proposito, ricordo che ho presentato u’interrogazione parlamentare sulle modalità di raccolta di questi dati in occasione del censimento, ma la risposta del sottosegretario Ventucci mi ha lasciato totalmente insoddisfatto. Nel censimento, infatti, sono stati dichiarati incongrui e pertanto non utilizzabili i dati relativi alle coppie dello stesso sesso.
Tuttavia, nonostante le modalità dubbie di rilevazione del fenomeno della convivenza nel nostro paese, sta di fatto che persino secondo ‘ISTAT si tratta di un fatto in netta crescita che coinvolge ormai alcuni milioni di persone. Ciò si riflette anche nel’attività dei tribunali (non a caso nelle relazioni introduttive, al’apertura degli anni giudiziari, molti interventi sottolineano che il legislatore dovrebbe intervenire su questa materia).
Le vertenze nei tribunali sono ormai moltissime, sui più disparati argomenti. Alcune sono state da lei citate; altre sono relative a questioni molto serie, come quella della casa, non completamente risolta dalla sentenza della Corte costituzionale del 1988. Con tale sentenza, infatti, non si interviene sulla proprietà, per cui qualora il deceduto sia il proprietario della casa, il convivente che vi abita non può più vantare alcun titolo per continuare a vivere in quel’abitazione. Ci sono stati casi, anche illustri, di persone che hanno dovuto lasciare la casa immediatamente dopo il decesso della persona, con le conseguenze che vi lascio solo immaginare, posto che al danno della morte del convivente si aggiungeva anche quello di uno sfratto forzoso. Addirittura, in qualche caso, i parenti hanno chiesto anche ‘intervento della Forza pubblica. Quindi, non ci sono solo i processi relativi alla convivenza.
Il caso che poi si verifica più frequentemente, soprattutto a fronte di rapporti eterosessuali, è quello per cui un uomo si trova una donna più giovane sbattendo fuori di casa la compagna. Sul piano dei numeri questa è la fattispecie che si verifica più spesso. In tali casi, la povera convivente non può vantare alcun diritto e si vede così costretta ad aprire una vertenza di lavoro: ‘unico escamotage possibile.
Sono ‘accordo sul fatto che tale soluzione, in casi del genere, non ‘entra nulla ed è umiliante per la persona che la utilizza (non è umiliante farsi passare per una cameriera ma dovere rivendicare i propri diritti secondo questa modalità); rimane tuttavia ‘unico mezzo per rivendicare i propri diritti e, magari, la proprietà dei beni mobili e immobili che, spesso, per ragioni note di distribuzione del potere al’interno della coppia (sempre a favore del’elemento maschile), si fa risalire al’uomo. Quando poi la convivenza finisce, sorgono i problemi di divisione del patrimonio comune (magari è il caso di u’azienda costruita insieme) e dei beni mobili, che hanno un forte valore affettivo.
Da quello che mi risulta ci sono molte vertenze relative ai beni mobili. Ho visto alcuni casi drammatici dove il convivente ha dovuto dimostrare fatture alla mano, anche delle suppellettili, degli elettrodomestici. Da questo punto di vista in molte situazioni non sono stati riconosciuti neanche i patti di convivenza stipulati presso degli studi notarili, che danno questa possibilità pur premettendo che il loro valore legale è dubbio.
Uno degli elementi di polemica su questo terreno con chi non è ‘accordo sul’introduzione di una normativa simile a quella denominata PACS è che la nostra legislazione e la nostra giurisprudenza riconoscerebbero già questi diritti per cui non ci sarebbe alcun bisogno di una legge. Ovviamente, credo si tratti di un errore, in qualche caso persino di malafede, perché il nostro ordinamento non riconosce la validità degli accordi di convivenza, che servono più per le persone che li stipulano, come regolazione interna alla coppia, che come tutela legale. Un tentativo per attribuire valore legale ai patti di convivenza fu fatto dal’allora ministro Bellillo, ma non riuscì neanche ad arrivare al’approvazione in Consiglio dei ministri, senza ricordare poi gli altri tentativi non andati in porto.
Noi siamo di fronte ad una «vertenzialità» diffusa; probabilmente sarebbe utile che la Commissione studiasse questo aspetto, perché spesso e volentieri si parla di coppie di fatto, ma si ignora che vi sono mille storie riguardanti tali coppie, con situazioni molto dolorose, al limite della crudeltà.
Nella sua esperienza professionale quali sono le questioni che noi ritroviamo più frequentemente nelle aule dei tribunali?


MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Le questioni che noi troviamo sono quelle relative alla divisione dei beni, soprattutto quelli mobili, perché nella divisione dei beni immobili i problemi in genere non si pongono. Soprattutto se il bene è cointestato, è tutto a posto; altrimenti, magari in presenza di contribuzioni non uguali da parte dei due conviventi, il problema si pone anche per questa tipologia. Per ciò che riguarda i beni mobili vi sono una serie di vertenze che difficilmente hanno esito positivo, in quanto, se una coppia acquista gli arredi della casa e i vari oggetti, è difficile che con il passare degli anni tenga con sé la fattura, anche perché spesso non ‘è mai stata. Il problema diventa complicato nel momento in cui si tenta di ottenere il riconoscimento che determinati beni sono stati acquistati da uno dei due in modo da ottenere ‘attribuzione in proprietà degli stessi. Si consideri che per la maggior parte delle coppie conviventi questo processo è estremamente antieconomico, in quanto dura diverso tempo, ha dei costi rilevanti e quasi mai gli oggetti sono di valore. Malauguratamente spesso si tratta di arredi fondamentali sotto il profilo affettivo ed economico; per le persone dover riacquistare questi beni costituisce una spesa estremamente onerosa. Trovare una soluzione automatica rispetto a questo problema garantirebbe un minimo di giustizia al’interno di queste situazioni.
Vorrei fare una precisazione, la sentenza che richiamavo prima è la n. 6381 del 1993; quando facevo riferimento alla possibilità di regolamentare il comodato ‘uso della casa, il riconoscimento di un diritto reale come ‘usufrutto degli immobili, la possibilità di vedersi riconosciuta ‘erogazione di una somma, intendevo dire che non possono certo essere le parti a regolamentare aspetti che debbono essere disciplinati dalla legge, come i problemi relativi ai figli, alla successione e tutti gli altri cui facevo prima riferimento. Il fatto che la Cassazione abbia riconosciuto tutto questo non significa certo che sia inutile una normativa al riguardo, perché quegli accordi non potranno mai regolamentare questioni che investono altri; ad esempio due parti possono anche stabilire la reversibilità di una pensione al momento della morte di uno dei due, ma non ci sarà ente previdenziale che la paghi se non è tenuto a farlo in base ad una norma.


BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Ho ascoltato con attenzione ‘intervento del’avvocato Marino, sono rimasta particolarmente impressionata dalla sua considerazione relativa alle discriminazioni sui figli. In effetti ci troviamo di fronte a regimi completamente diversi, che fanno pensare ad una discriminazione che non mette in linea con il dettato costituzionale neanche i figli, soprattutto se si pensa che queste coppie di fatto sono a volte determinate dalle lungaggini del divorzio derivanti dalla legislazione e dai tempi della giustizia. Come Commissione, nel cercare di portare avanti il provvedimento, abbiamo pensato di concentrarci sulle questioni che riguardano la convivenza tra gli adulti, rinviando alle previsioni attualmente contenute nel codice civile le questioni riguardanti i figli. Per un motivo di strategia parlamentare pensiamo che in questo caso sia opportuno cominciare a regolamentare la situazione che, come si è detto finora, produce contenzioso e non dà diritti, introducendo nel’ordinamento questo principio. Anche io considero enorme il problema dei figli e, probabilmente, meritevole di un provvedimento ad hoc. Vorrei conoscere ‘opinione di un tecnico su questa modalità dettata più da opportunità politica che da altro. Siamo su un terreno nuovo, molto complesso; pensiamo che il primo passo fondamentale sia quello di inserire nel’ordinamento questa casistica, dotando di diritti le persone adulte che attualmente ne sono completamente prive. Ritiene che un provvedimento appositamente dedicato ai figli possa rappresentare la soluzione migliore per tutti i numerosi aspetti che interessano la questione?

MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Se questo è un impegno ad affrontare la questione del superamento delle discriminazioni che pure ancora esistono nei confronti dei figli, va benissimo.
È necessario, però, mettere al’ordine del giorno un problema che non costituisce semplicemente un fatto nominalistico, bensì di sostanza. Parlare di figli legittimi o naturali, è evidentemente improprio e provoca, di per sé, delle discriminazioni. Quindi, se le vostre parole vanno nel senso di impegnarsi ad affrontare il problema in tempi brevi, ne sono felice. Mi auguro che questo compito venga portato a termine.


NINO STRANO. Ringrazio ‘avvocato Marino per la sua esposizione. Vorrei soltanto sollecitare un parere tecnico in merito a quanto pubblicato oggi da Il Messaggero in prima pagina. Si riprende una dichiarazione di Doriano Galli, segretario nazionale della lega per i diritti sessuali della persona, il quale cita una legge del 1937 che permette di certificare le convivenze more uxorio. Pare che vi siano state due sentenze in tal senso – una sarà addirittura festeggiata in questi giorni a Roma – che hanno permesso la certificazione di questo status (una nel 1981 e una ulteriore nel 1985).
Si conclude ‘articolo sostenendo che la legge ‘è ma è poco nota; per questo motivo le domando se, a suo parere, qualora fosse vero questo tipo di impostazione, proprio essa non possa esserci utile nel percorso che stiamo realizzando.


MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Non conosco queste sentenze ma ho ‘impressione che si faccia riferimento a quanto ho già affermato, cioè, alla possibilità di dichiararsi al comune come conviventi. Infatti, ‘unica norma che dà rilevanza giuridica allo stato di fatto della convivenza risultante dal certificato anagrafico è la possibilità per il convivente di andare a trovare in carcere il convivente detenuto. Non conosco le due sentenze da lei citate; osservo comunque che dal’ultima – quella del 1985 – sono passati ven’anni.

NINO STRANO. Ma ‘altra è in fieri!

PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, ringrazio ancora ‘avvocato Marino per la sua esposizione. Saremo lieti di acquisire eventuali documenti o relazioni scritte ai fini di un maggior approfondimento nel nostro lavoro.
Dichiaro conclusa ‘audizione.


La seduta termina alle 10.

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                                                2008




Milano: convivente lesbica risarcita della morte della propria compagna




Aurelio Mancuso

E' di oggi la notizia che a Milano un'assicurazione ha risarcito il danno patrimoniale alla convivente di una donna morta per un errore nelle cure mediche.

Le avvocatesse Laura Granata ed Elisabetta Arrigoni, che hanno seguito il caso, informano che l'assicurazione dell'ospedale ha pagato il risarcimento dovuto alla responsabilità del medico, riconoscendo alla superstite, a fronte della semplice presentazione della documentazione di convivenza.

Le due donne non avevano alcun titolo neppure contratto all'estero, in quanto in Italia non esiste una legge che riconosca diritti e doveri alle coppie. L'assicurazione ha deciso che si trattava comunque di una comunione morale e patrimoniale, ritenuta come essenziale per considerare due persone come prossimi congiunti meritevoli del risarcimento.

Aurelio Mancuso

Presidente nazionale Arcigay 

                                               2010

STEFANO RODOTA' SUI MATRIMONI GAY

In tutto il mondo l’ agenda dei diritti si compone e si scompone. Si discute della libertà di espressione su Internet. I diritti dei migranti sono al centro di un importante intervento di Obama, mentre in Europa producono manifestazioni di xenofobia e razzismo che influenzano le elezioni nazionali. La crisi economica incide sui diritti dei lavoratori, impone condizioni che violano il principio del “decent work”, della dignità del lavoro. Le ultime notizie dall’ Islanda aggiungono un altro paese a quelli che già hanno riconosciuto il matrimonio omosessuale, mentre in Italia la comunità gay sta conoscendo inedite polemiche. A queste reagisce un esponente autorevole di questo mondo, Aurelio Mancuso, affermando che «di queste beghe la comunità non vuol sentire parlare, la comunità vuole diritti», aggiungendo che si tratta di una richiesta rivolta a tutte le forze politiche, senza distinzioni. Una mossa “politicista” o una giusta sollecitazione istituzionale? Il Parlamento italiano è inadempiente, ed è bene che sia richiamato ai suoi doveri. Con una recentissima sentenza, infatti, la Corte costituzionale ha ribadito la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, poiché siamo di fonte ad una delle “formazioni sociali” di cui parla l’ articolo 2 della Costituzione. Da questa constatazione la Corte trae una conclusione importante: alle persone dello stesso sesso unite da una convivenza stabile «spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Sono parole impegnative: un “diritto fondamentale” attende il suo pieno riconoscimento.
Non è ammissibile, dunque, la disattenzione del Parlamento, perché in questo modo si privano le persone di diritti costituzionalmente garantiti. Qualcuno, al Senato e alla Camera, porrà con la dovuta durezza questa domandae chiederà che si riapra almeno la discussione sulle unioni di fatto? Ma la Corte va oltre. Pur ribadendo che l’ attuale disciplina costituzionale del matrimonio non permette di ricomprendere al suo interno la disciplina delle unioni omosessuali, fa due affermazioni rilevanti. La prima è di carattere generale. Si sottolinea che le norme attuali, che vincolano il matrimonio alla differenza di sesso, non possono essere superate attraverso una interpretazione dei giudici costituzionali. Questo vuol dire che, preclusa al giudice, la via del mutamento dell’ articolo della Costituzione sul matrimonio, per renderlo compatibile con le unioni omosessuali, potrebbe essere percorsa dal legislatore. Si può obiettare che una revisione costituzionale in una materia così scottante appare improbabile. E qui interviene la seconda affermazione, che mostra come non sia corretto prospettare una incompatibilità assoluta tra il modello del matrimonio tradizionale e quello dell’ unione omosessuale. È sempre la Corte che parla: «Può accadere che, in relazioni a ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale». Una barriera è caduta. Il Parlamento non potrà usare l’ argomento, utilizzato in passato, di un presunto obbligo di non creare “contiguità” tra disciplina del matrimonio e disciplina delle unioni di fatto. Proprio perché i giudici costituzionali sono stati guidati da tanta consapevolezza, ci si poteva aspettare una attenzione maggiore per il modo in cui il tema è affrontato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea. Qui si coglie una netta discontinuità.
Nell’ articolo 21 si vieta ogni discriminazione basata sulle tendenze sessuali. E, soprattutto, nell’ articolo 9 si stabilisce che «il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’ esercizio». La distinzione tra “il diritto di sposarsi” e quello “di costituire una famiglia” è stata introdotta proprio per consentire la costituzione legale di unioni distinte da quelle tra persone di sesso diverso, dunque anche quelle tra omosessuali. E il passo avanti rappresentato dalla Carta diventa ancor più evidente proprio se si fa un confronto con quel che dispone l’ articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’ uomo del 1950, dov’ è scritto che «uomini e donne hanno diritto di sposarsi e di costituire una famiglia secondo le leggi nazionali che disciplinano l’ esercizio di tale diritto». Confrontando questo articolo con quello della Carta, si colgono differenze sostanziali. Nella Carta scompare il riferimento ad “uomini e donne”. Non si parla di un unico “diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”, ma si riconoscono due diritti distinti, quello di sposarsi e quello di costituire una famiglia. La conclusione è evidente. Nel quadro costituzionale europeo, al quale l’ Italia deve riferirsi, esistono ormai due categorie di unioni destinate a regolare i rapporti di vita tra le persone. Due categorie che hanno analoga rilevanza giuridica, e dunque medesima dignità: non è più possibile sostenere che esiste un principio riconosciuto – quello del tradizionale matrimonio tra eterosessuali – ed una eccezione (eventualmente) tollerata – quella delle unioni omosessuali. In un paese che onora la civiltà della discussione e rispetta i diritti delle persone, queste dovrebbero essere le linee guida per il legislatore. Poiché, invece, questi temi sono ormai oggetto della prepotenza ideologica di chi vuole imporrei propri valori, definendoli non negoziabili, può essere utile ricordare che il mondo cattolico non è riducibile alle gerarchie vaticane e a chi se ne fa portavoce. Nel 2008 la rivista dei gesuiti, Aggiornamenti sociali, ha pubblicato una serie di scritti sulle unioni omosessuali, con i quali si può dissentire su alcuni punti, ma che prospettano una conclusione assai impegnativa.
Al politico cattolico si dice che «non spetta al legislatore indagare in che modo la relazione viene vissuta sotto altro profilo che non sia quello impegnativo dell’ assunzione pubblica della cura e della promozione dell’ altro». E si sottolinea che, una volta riconosciuto il valore sociale della convivenza, «risulterebbe contrario al principio di eguaglianza escludere dalle garanzie certi tipi di convivenze, segnatamente quelle tra persone dello stesso sesso». Poiché si tratta di diritti fondamentali della persona, il riconoscimento «è istanza morale prima che garanzia costituzionale». Non si potrebbe dire meglio. Ma si deve aggiungere che nessuno può disinteressarsi di questo tema considerandolo affare di altri. Intervistata dal New York Times, Martha Nussbaum ha detto: «Se mi risposerò, sarò preoccupata del fatto che sto godendo di un privilegio negato alle coppie dello stesso sesso». Anche la più intima tra le decisioni non può farci distogliere lo sguardo dal vivere in società, dalla condizione e dai diritti di ogni altra persona, lontana o vicina che sia. (Stefano Rodotà – La Repubblica)  15 luglio 2010
 


Si è svolta questa mattina l'udienza della Corte Costituzionale che emetterà una sentenza solo in serata. Ecco quali sono le tesi degli avvocati che assistono le coppie gay.


E' terminata intorno alle 11:30 l'udienza presso la Corte costituzionale sul procedimento nel quale tre coppie omosessuali (Galliano Mariani e Sergio Gallozzi al Comune di Venezia, Enrico Oliari e Lorenzo Longhi, Emanuela Zambotti e Michela Ossanna) contestano la impossibilità di sposarsi come illegittima e in contrasto con la Carta fondamentale. Ma solo alle 17 i giudici si riuniranno in camera di consiglio per decidere quale sentenza emettere.

Durante l'udienza pubblica, alla quale erano presenti le tre coppie coinvolte oltre alle associazioni Certi Diritti e Rete Lenford, gli avvocati hanno sostenuto la tesi della piena costituzionalità dei matrimoni gay secondo gli articoli 2, 3, 29 e 117 della Costituzione. Sarebbero invece discrimininatori gli articoli del codice civile 93, 96, 97, 108, 143 e 146/bis, che non consentono oggi il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

La questione trans - Un'altra delle tesi sostenute dagli avvocati che hanno assistito le coppie gay è stata quella del matrimonio trans: è singolare che i trans possano sposarsi dopo un'operazione chirurgica, mentre i gay no. Ma l'osservazione sollevata è stata rifiutata dall'avvocato dello Stato secondo il quale proprio l'avvenuta transizione da un genere a un altro dimostra quanto sia necessaria una distinzione tra generi come requisito minimo per accedere al matrimonio.

Le tesi dei costituzionalisti - Dopo che la corte ha anche dichiarato inammissibili le richieste di intervento dell'associazione radicale Certi Diritti, sono iniziati gli interventi dei costituzionalisti di Rete Lenford che hanno seguito le coppie nell'iter giudiziario. In particolare i legali hanno chiesto ai giudici di prendere una «decisione coraggiosa» per mettere fine a una «discriminazione ingiustificata» che «brucia» a chi si trova davanti la via sbarrata se chiede di potersi sposare con una persona del suo stesso sesso.

Il professore Vittorio Angiolini ha chiesto ai giudici di non rinviare la questione al parlamento, ma anzi di anticipare la decisione politica: «È discutibile che debba essere solo il legislatore a rilevare l'evoluzione sociale della famiglia, intesa come società naturale fondata sul matrimonio - è stata la tesi del professore Angiolini - perché se può essere solo il legislatore, allora non avrebbe più significato parlare di società naturale. Queste persone non hanno bisogno delle nozze per stare insieme, ma vogliono un simbolo, un legame sociale che li faccia esistere come coppia. Il matrimonio è basato sul consenso, sulla volontà, e dunque sulla libertà. Sia dunque la Corte Costituzionale a prendere contezza che la società è cambiata».

Anche per il professore Vincenzo Zeno Zencovich, «non è il Parlamento ma la Corte Costituzionale a essere chiamata a riconoscere certi diritti. La Consulta spesso anticipa tali riconoscimenti ancor prima dell'intervento del legislatore - ha ricordato ai giudici costituzionali - come in passato è ad esempio avvenuto per la riforma del diritto di famiglia».

Per la professoressa Marilisa D'Amico, «la libertà di matrimonio, senza discriminazioni di sesso, è un principio non scritto ma già presente nella nostra società. Il genere è irrilevante rispetto alla disciplina della scelta di relazione: rifiutare il matrimonio di coppie dello stesso sesso vuol dire negare la libertà di orientamento sessuale e soltanto la Corte Costituzionale può rimuovere questa irragionevole discriminazione».

Ha osservato a tal proposito il professore Massimo Clara: «La natura si evolve, così come si evolvono i costumi. Oggi il matrimonio non è più finalizzato alla procreazione, in quanto ci sono matrimoni senza figli e figli nati fuori dal matrimonio. Oggi il matrimonio si basa sul consenso delle due parti, che si richiama a sua volta al concetto di libertà individuale».

^L'avvocato dello Stato - A rappresentare le ragioni dello Stato, contro le posizioni delle coppie gay, c'era l'avvocato Gabriella Palmieri secondo il quale «Il Parlamento è l'unica istituzione che può intervenire legiferando in tema di matrimonio». «Non si può immaginare una lettura evolutiva della norma costituzionale, per la quale la famiglia rappresenta la società naturale formata dal matrimonio fra un uomo e una donna: non si tratta di una norma "in bianco" - ha osservato l'avvocato Palmieri - né si può immaginare l'illegittimità di tale norma che sarebbe superata per sopravvenuto mutamento sociale. La diversità di sesso - ha sottolineato - resta un elemento necessario dell'esistenza stessa del matrimonio fra due individui». Inoltre, l'avvocato dello Stato ha ricordato che «nessuna normativa europea obbliga ad ammettere il matrimonio fra persone dello stesso sesso, il cosiddetto "same sex marriage". L'Unione Europea né vieta né impone una scelta ma fa richiamo alla sfera del legislatore nazionale e al pluralismo culturale dei singoli Stati, prevedendo una pluralità di modelli che rifletta una pluralità di scelte per le quali - ha ribadito l'avvocato Palmieri - la competenza resta del legislatore, ovvero del Parlamento chiamato ad approvare la legge».

Gli ultimi interventi su questo argomento dal Forum:
Inviato da: antonio di giacomo
Data: 23-03-2010 18:05

Vorrei ringraziare Certi Diritti (anche per il fatto di essere la prima associazione glbt che pubblica online il bilancio) e Rete Lenford per i risultati che hanno raggiunto in così poco tempo a favore di tutta la comunità gay. Non posso dire, invece, la stessa cosa nei confronti delll'arcigay e compagnia bella che in tutti questi anni non hanno fatto nulla al riguardo. Dall'Espresso si evince, infatti, che la via legale, come hanno fatto Certi Diritti e Rete Lenford , è stata intrapresa soltanto ora nel nostro Paese! Mi chiedo le ragioni di tale comportamento. Come mai un piccolo gruppo di avvocati è riuscito a portare le nostre rivendicazioni fino alla Corte Costituzionale ed invece non sono riusciti a farlo i vari uffici legali dell'arcigay o del mario mieli? Grandi associazioni politiche che dispongono di uomini,mezzi, denaro e politici in Parlamento. Cosa hanno fatto in tutti questi anni? C'hanno almeno provato? Ma a cosa dovevano servire i soldi che diamo a queste associazioni attraverso il tesseramento, le affiliazioni dei locali, le donazioni dirette e indirette che si fanno frequentando le loro attività ludiche? A mantenere solamente i loro lauti compensi, quelli percepiti dai cosiddetti " volontari con la busta paga"? E ora che la cosa si fa seria, hanno anche la faccia come il culo di salire sul carro dei vincitori, non si sa mai ...dovessero farcela ...vero?   (da Gay.it)




                                     2011
 
 
 
L'IDEA E' QUELLA DI PERMETTERE A GAY E LESBICHE DI ESSERE SEPOLTI ACCANTO AD ALTRE PERSONE GLBT "COME UNA COMUNITA'". COME ACCADE ALLE FAMIGLIE ETERO SPIEGA IL GESTORE DEL CIMITERO
I gestori del Crest Lawn Memorial Park, che si trova al centro di Atlanta, hanno deciso di ritagliare una parte dell'area da destinare ai gay e alle lesbiche che vogliono essere sepolti accanto ad altri gay e altre lesbiche. Pensiamo che sia una buona idea perchè riguarda il senso della comunità ,di collegamento e perchè è una tradizione ha dichiarato Jason Suggs. Non è ancora chiaro in cosa la sezione del cimitero destinata alle persone glbt sarà davvero diversa dal resto. Secondo Suggs, permettere ai gay e alle lesbiche di essere seppelliti insieme equivale al consentire agli etero di essere seppelliti con la propria famiglia. Non è la prima volta che qualcuno decide di dedicare una zona di un cimitero ai defunti glbt. Una cosa simile è gia' successa nel 2008 in Danimarca.
Gay.it 6 aprile 2011
 




 
Ricerca. Relazioni omosessuali verso la monogamia aperta?
 
Written by Redazione Costume e società apr 6, 2011
Da uno studio condotto dalla San Francisco State University emerge quanto siano comuni le relazioni aperte tra coppie delle stesso sesso.
San Fransisco ospita una delle comunità gay più importanti al mondo e proprio qui è stato condotto uno 
studio, della durata di tre anni, su come 556 coppie gay strutturano il loro rapporto. La documentazione prodotta dai ricercatori Colleen Hoff e Sean Beougher della UCSF ha poi rivelato che il 50% delle coppie pratica sesso extraconiugale senza nascondere nulla al proprio partner.
"Nelle coppie eterosessuali, questo viene chiamata tresca o tradimento", uno degli intervistati, Dean Allemang, 50 anni consulente tecnologico dell’Oakland, sostiene serafico:" Credo sia abbastanza naturale per gli uomini continuare a volere una vita sessuale attiva e varia, io non possiedo il mio amante, né il suo corpo…"
Così ammette Colleen Hoff. Le chiamano le relazioni di San Francisco, definizione, coniata dalla comunità gay del posto che sta a indicare una duratura coppia di uomini che ha incontri sessuali extraconiugali. La ricerca condotta ha fatto emergere che questo tipo di concezione della vita di coppia è molto più diffusa e normale di quanto si pensasse, solo che non se ne parlava.
Una relazione non monogama, può quindi non avere alcuna accezione negativa. Infatti, tre persone su quattro descrivono la relazione aperta come una cosa assolutamente positiva che permette di soddisfare il proprio impulso sessuale pur senza mentire al proprio partner e nel pieno rispetto della coppia.
Sta di fatto che, come nelle relazioni monogame, anche in quelle aperte esistono delle regole accettate da entrambi i partner, regole molto importanti che, se infrante, possono ledere seriamente la stabilità della coppia. Gli accordi, riguardo la libertà sessuale all’interno di una coppia possono riguardare il dove, quando, con chi e quante volte.
Non bisogna dimenticare che nell’ambito degli accordi coniugali delle coppie gay non monogame, le regole poste sono volte a limitare la trasmissione di malattie quali l’HIV. Come afferma la stessa Hoff:
"[...] la rottura degli accordi sessuali o se qualcuno non è chiaro con il proprio partner, può rendere entrambi vulnerabili alla contrazione dell’HIV [...] senza un consenso comune, mentre un partner potrebbe essere coinvolto in un comportamento rischioso al di fuori della relazione di coppia, l’altro potrebbe essere inconsapevole del conseguente rischio [...]".
Uno studio inglese del 2010, "Monogamia gay: ti amo ma non posso fare sesso solo con te", ha riscontrato che nessuna delle coppie intervistate definiva la monogamia come esclusività sessuale. Infatti anche se dichiaravano di essere monogami, tutti avevano rapporti extraconiugali. Ciò che è emerso da questo studio è che la fedeltà è intesa a livello emotivo e, più precisamente, andare con un’altra persona, fintanto che si è attratti solo fisicamente, non significa tradire. (diredonna.it)
 
                                   2012

MATRIMONIO LESBICO: DI’GAY PROJECT RISPONDE ALLA LETTERA DI GIOVANNI DALL’ORTO
Matrimonio gay - News Di Gay Project Innanzi tutto noi dell’Associazione Dì’Gay Project vorremmo ringraziare Giovanni Dall’Orto per l’attenzione riservataci e soprattutto per le sue critiche, che vogliamo pensare siano mosse da spirito costruttivo: evidentemente il nostro comunicato dello scorso 25 maggio necessita di maggiori chiarimenti.
In nessuna parte di esso abbiamo affermato l'idea che una semplice scrittura privata possa avere gli stessi effetti d'un matrimonio, o di una unione civile. Caso mai abbiamo parlato di un contratto di convivenza, una scrittura privata che qualunque coppia di individui, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, può decidere di sottoscrivere, possibilmente con l’assistenza di un legale. Con la firma del documento le parti potranno regolare questioni che, in assenza di una legge, rischiano di generare conflitti: la proprietà dei beni; l’uso dell’abitazione comune; la cessazione della convivenza; l’assistenza in caso di malattia.
E’ assolutamente ovvio che la volontà sancita nel documento si arena sullo scoglio del vuoto legislativo. Ed è altrettanto lapalissiano che, in assenza di una legge, restano vigenti le norme del Codice civile. Non ci risulta che nel comunicato abbiamo citato in alcun modo questioni come la reversibilità della pensione, o la quota legittima in caso di successione. Un conto è parlare di assegni dell’Inps; un altro è avere il diritto di essere informati dal personale sanitario in caso di malattia. Ebbene, rebus sic stantibus, in assenza di previo accordo tra le parti, lo Stato italiano ci nega anche diritti semplici come questo.
E allora noi, a Di’Gay Project, mentre la politica si azzuffa in maniera sterile, ci preoccupiamo di aiutare le coppie a fare leva su quella piccola intercapedine, quell’esile fessura che si intravede tra una scrittura privata ed un vuoto legislativo: tutto questo utilizzando le scarne possibilità che oggi offre la legge italiana.
Certo, Dall’Orto ha ragione: una scrittura privata, proprio in quanto privata, non necessita di riti o celebranti, né Imma Battaglia - nel volere organizzare per i nostri ospiti un piccolo rito augurale - ha la presunzione di voler emulare il compianto Consoli. Quello che abbiamo voluto fare, con semplicità e forse anche un po’ di ironia, è stato festeggiare un giorno speciale per due persone con un rito, che – lo scrive anche Dall’Orto - ognuno ha il diritto di celebrare come preferisce sotto forma di cerimonie private. In tal senso, rivendichiamo la nostra scelta laica, e forse anche la nostra perplessità rispetto alla parola “matrimonio”.
E’ vero. Imma Battaglia è sempre stata contraria ai matrimoni gay. E lo è ancora. Da persona profondamente legata alle tradizioni familiari, ritiene il rito del matrimonio qualcosa di assolutamente unico, che ha radici storiche, religiose e culturali molto lontane, che appartengono ad una comunità specifica che va rispettata per le sue idee. Non per questo però l’altra comunità, quella omosessuale, quella diversa, non chiede e non merita rispetto e tutele giuridiche. Tutti noi in realtà desideriamo solo una cosa: essere liberi di amare chi vogliamo come vogliamo potendolo fare esattamente come gli altri indipendentemente dalle formule rituali: con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Pacs? Dico? Abbiamo voluto scrivere provocatoriamente “matrimonio” per attirare l’attenzione della stampa e tenere alta la visibilità su un tema caldo, su cui vogliamo mantenere aperto il dibattito.
Il linguaggio poco ci importa. A noi interessano le persone e i bisogni che esprimono ora, adesso, oggi, in questo momento. Come scrive Dall’Orto, nei giorni scorsi, a raffica, si sono detti favorevoli al matrimonio gay prima Di Pietro, poi Ferrero, poi Vendola… Sappiamo già con quale esito. Noi non vogliamo assolutamente sviare la loro attenzione con festicciole private ribattezzate "matrimoni lesbici", né tanto meno compiacere politici, secondo un ragionamento che apparirebbe machiavellico, per non dire dissociato. Diciamo che diamo loro fiducia, ma nel frattempo non possiamo e non vogliamo aspettare. Noi continuiamo a batterci per i diritti delle persone e intanto – in attesa della tanto auspicata legge, che non perdiamo occasione di invocare con i nostri frequenti e assidui comunicati (consultabili sul sito www.digayproject.org) - garantiamo piccoli servizi di prossimità. Umili, semplici, ma percepiti dalle persone come segno di attenzione e sensibilità, fuori dalle ideologie e dalla demagogia, tessendo una rete solidale al bisogno crescente delle persone di normalità e diritti. Fa parte di questa sensibilità anche il rispetto della privacy delle persone che decidono di firmare il loro atto d’amore. E, appunto non trattandosi di “matrimonio”, tutti noi abbiamo il diritto di mantenere la nostra riservatezza, come anche quello di festeggiare un giorno di felicità.
Come già affermava il nostro comunicato, in attesa che la politica capisca questa profonda lezione di democrazia, DGP continua a lavorare su questi valori, senza nessuna forma di collateralismo politico, super partes e consapevole di quanto sia difficile sostenere le persone ogni giorno, con una serie di servizi che aiutino a garantire, nel miglior modo possibile, diritti di cittadinanza vecchi e nuovi. Ancora una volta, concretezza versus demagogia: questa è il nostro motto. Su questo si gioca la chiave del futuro dell’associazionismo, della politica e, ciò che ci sta più a cuore, del diritto alla felicità delle persone.

Lettera di Giovanni Dall’Orto

Interessante il comunicato emesso in data 25 maggio 2012 da Di'Gay Project (dal titolo "Matrimonio lesbico a Di’Gay Project. Imma Battaglia celebrerà lo scambio delle promesse") in quanto mostra come un'ampia parte del movimento lgbt agisca ormai d'istinto (quasi col pilota automatico) per compiacere i politici (e se pensate immediatamente ad Alemanno quando io dico "Imma Battaglia" la colpa non è mia. È sua).
Imma Battaglia è da sempre - e oltre tutto, coerentemente - contraria ai matrimoni gay. Suo diritto: dieci anni fa lo ero anche io, per dire. Quindi che ci siano parti del movimento gay che la pensano oggi come la pensavo io ieri non mi scandalizza affatto: visto che ragionavo come loro, capisco i loro punti di vista.
Quel che mi scandalizza è semmai il modo scorretto in cui si cerca di deviare il discorso verso soluzioni che sono totalmente diverse da quel che il comunicato stampa in questione dichiarano d'essere.
L'idea che una semplice scrittura privata possa avere gli stessi effetti d'un matrimonio, o anche di una unione civile, è infatti semplicemente falsa. Non comprendo come una scrittura privata possa sormontare il codice civile relativamente agli eredi necessari, o alla reversibilità della pensione, o all'eventuale matrimonio (eterosessuale) di uno dei contraenti, o...
Oltre a ciò una scrittura privata, proprio in quanto privata, non ha alcun bisogno di riti o celebranti (un tempo avevamo Consoli che faceva il prete in simili occasioni, adesso abbiamo la Battaglia... e va be', si vede che l'aria del Vaticano ai romani dà queste idee). Ha bisogno semmai, per essere "autenticata", di un pubblico ufficiale, cosa che però non mi risulta Imma Battaglia sia.
Aggiungiamo ancora che se anche il pubblico ufficiale ci fosse (ma qui non c'è) un contratto privato di coppia redatto davanti a un pubblico ufficiale noi lo conosciamo più familiarmente sotto il nome popolare di "Pacs", che è un istituto rispettabile ma che è cosa del tutto diversa da un "matrimonio lesbico". Tanto è vero che alle recenti presidenziali francesi è stato promesso che in Francia sarebbe stato introdotto anche il matrimonio gay oltre al Pacs.
Insomma, qui si sta creando confusione usando a sproposito un termine per un altro, e proprio nei giorni in cui, a raffica, si sono finalmente detti favorevoli al matrimonio gay in senso stretto prima Di Pietro, poi Ferrero, poi (al solito in ritardo) Vendola, nonché Emma Bonino (e siamo già a quattro in pochi giorni).
E forse questo "qualcuno" lo sta facendo esattamente per questo: per cercare di sviare la nostra attenzione verso festicciole private ribattezzate "matrimoni lesbici" ma che matrimoni non sono affatto.
Chiariamo bene: ognuno di noi ha il diritto di celebrare cerimonie private, laiche o religiose (in Italia quelle religiose le celebrano già i valdesi e i veterocattolici) per sé e per i propri amici.
L'importante è avere ben chiaro in mente che si tratta solo di questo: cerimonie private, e non "matrimoni".
Come se non bastasse ancora, c'è il fatto che l'idea di aggirare in qualche modo il (deliberato) vuoto legislativo facendo ricorso a scappatoie o usi creativi delle norme esistenti, è stato sin dal 1981 il cavallo di battaglia di Doriano Galli (non a caso anch'egli romano), che nel 2005 si è però infine scontrato con un rifiuto da parte d'un ufficiale di Stato civile di registrare l'atto notorio.
In altre parole, la strada oggi "inventata" da Di'Gay Project non solo è stata già tentata sin dal lontano 1981, ma si è già rivelata un vicolo cieco.
Sfugge quindi a chi giovi la riproposizione d'una falsa pista come questa, quasi fosse un'alternativa alle battaglie che stiamo conducendo per il matrimonio gay.
O meglio, sfugge se si escludono i politici, che se riuscissero ad evitare con un escamotage come questo di discutere del "perché sì" e "perché no" ai matrimoni gay sarebbero solo felici.
Per concludere noto la riga finale: una delle "matrimoniate" non è "dichiarata", quindi la si potrà riprendere solo di spalle.
Ebbene: se questo fosse un matrimonio vero, andrebbe puntualizzato che un matrimonio è un atto pubblico, tanto che necessita della PUBBLICAZIONE nell'Albo del Comune per essere in regola con la Legge.
Quindi sarebbe assurdo per noi batterci per ottenere un atto pubblico comportandoci poi in modi che spingono a pensare che non siamo pronti a viverlo in quanto atto pubblico.
Tuttavia questo non è un matrimonio, quindi almeno su questo non ho altro da eccepire.
Resta solo da capire perché o per chi si sia voluto, con questo comunicato, dichiarare che si tratta d'un matrimonio. Ma basta chiedere "cui prodest" per capire tutto. Al solito.
Giovanni Dall'Orto
(Da "Facebook", 29 maggio 2012)

CASINI: sì alle unioni civili ma i gay non vogliono nozze                                   
da Gay.it agosto 2012
Il segretario dell'Udc, intervistato su Rai 1, apre al riconoscimento di tutele per le coppie conviventi, anche gay. Ma poi precisa: "Il matrimonio? Forzatura ideologica dei gay che vanno al Pride"


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Gay.it - Casini: “Chi convive, siano persone dello stesso sesso o di sesso diverso, ha diritto ad avere tutele civili è un fatto di garanzia del diritto”. A dirlo è stato il segretario dell'Udc Pierferdinando Casini intervistato oggi durante la trasmissione di Rai 1 "Uno Mattina". Un'apertura importante da parte di un partito sempre così legato agli indirizzi politici che arrivano dal Vaticano, ma che precede un'altrettanto chiara chiusura nei confronti del matrimonio gay.
“Il matrimonio gay – sottolinea l'ex presidente della Camera – è un’idea che mi trova agli antipodi. Conosco tanti gay che non pensano al matrimonio  e che ritengono questa impostazione una forzatura ideologica. Ci sono tanti gay che non vanno al Gay Pride”.

Gay.it - Casini: Da Facebook gli risponde uno di quei gay che invece il matrimonio lo vorrebbe, al punto di celebrare le nozze con il suocompagno a Oslo.
 "Gli amici gay di Casini non vanno al Gay Pride - scrive sul social network Sergio Lo Giudice, attivista gay e capogrupo del Pd a Bologna -. Vanno di giorno al Family day, di notte a cercare sesso nei parchi". "Il punto non è volersi sposare o meno - chiarisce Lo Giudice - ma che lo stato ti neghi la libertà di decidere se farlo o no".

Gay.it - Casini: "Siamo seriamente preoccupati dalla superficialità delle valutazioni di un politico che si candida al governo del Paese - è il commento di Paolo Patanè, presidente nazionale di Arcigay - e che valuta l'opportunità di riconoscere un diritto fondamentale come quello di sposarsi e di realizzare l'eguaglianza tra le persone prendendo a prestito, e interpretando, le impressioni della sua cerchia di amicizie e conoscenze".  "Al di là dell'indeterminatezza, da bassa astuzia, del riferimento di Casini a mai precisate "tutele civili" - continua Patanè -, ci sembra che sia molto più semplice un approccio laico ed europeo che riconosca finalmente la libertà di ognuno, eterosessuale o omosessuale che sia, di sposarsi civilmente ovvero di non farlo".

Gay.it - Casini: Una parte del mondo gay, quindi, non si accontenta davanti a quella che ad alcuni è sembrata solo una mossa nella strategia delle alleanze. "Ma il punto forse è tutto lì - conclude Patanè -: un approccio laico ed europeo non è possibile a chi forza e altera l'appartenenza del nostro Paese al mondo Occidentale, sulla base dei suoi convincimenti religiosi imposti come metro normativo per tutti. Ancora una volta sollecitiamo tutte le forze politiche a fare scelte ed alleanze che non imprigionino l'Italia nella morsa di una politica becera e bigotta".

Gay.it - Casini: Apprezza l'apertura di chi "fino a poco tempo fa non voleva sentir parlare di leggi a tutela delle forme di convivenza", Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia, che però precisa: "Parlare pro o contro il matrimonio gay senza tenere conto della effettiva realtà dei fatti - spiega Mancuso - è un esercizio propagandistico, in cui la vita quotidiana delle coppie è strumentalizzata per accreditare da una parte e dall'altra posizioni retoriche e pregiudiziali. La richiesta della parità di diritti e di doveri da parte delle coppie gay non è solamente legittima, ma è stata riconosciuta da sentenze delle Corti Costituzionale e di Cassazione. Il dibattito è semmai su come questo principio possa trovare piena applicazione nel nostro ordinamento, cercando di superare dibattiti ideologici e di convenienza partitica".

Gay.it - Casini: Secondo l'associazione radicale Certi Diritti "va riconosciuto al leader dell’Udc di aver finalmente aperto una breccia in un'area politica che si era sempre caratterizzata alle obbedienze clerical-vaticane". "La direzione è certamente quella giusta - dichiara in una nota l'associazione -. Riguardo il suo sentirsi agli antipodi sul riconoscimento del matrimonio, forse anche lui prima o poi comprenderà le ragioni di centinaia di migliaia di cittadini che chiedono di poter accedere a tale istituto considerato ormai il vero traguardo dell’ugugaglianza, facendo magari tesoro di quelle stesse ragioni che vedono il premier britannico David Cameron o il Primo Ministro neo-zelandese, conservatori, tra i principali sostenitori del matrimionio civile tra persone dello stesso sesso".
Gay.it - Casini: A lanciare la sfida ci pensa l'Idv con Franco Grillini per il quale "dato che si voterà tra 8 mesi c'è tutto il tempo per andare in Parlamento e fare una buona legge in materia di diritti civili e delle coppie conviventi''. ''Per noi - ha aggiunto - la strada corretta è quella dell'estensione del matrimonio civile alle coppie omosessuali ma anche di un pluralismo dei diritti da riconoscere come in Belgio e in Svezia. Casini ribadisce il suo no ai matrimoni gay, che non condividiamo, ma almeno stavolta lo dice senza offendere come e' successo in altre occasioni''





     22 MILA MATRIMONI GAY IN 7 ANNI
                           IN   SPAGNA
       (TG2 DELLE 23.30 DEL  7.11.2012)




                                   2015








 

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